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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2011 alle ore 08:12.

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MOSCA. Dal nostro inviato
«Ci penso io, tu non devi preoccuparti di nulla». Così si rivolgeva uno Zar ai propri sudditi e questo «è quanto Putin rappresenta - spiega un moscovita interpellato sul legame tra i russi e l'autorità - quello a cui sono sempre stati abituati». Per Russia Unita, il partito del premier, oggi voterà chi ha bisogno di sentirsi sicuro, chi ha paura dell'incertezza, chi ha poco, magari, ma teme di perderlo. Chi non è infastidito dal fatto che siano sempre altri a decidere: l'esito del voto di oggi, lo scambio di ruoli premier-presidente.
Tutto, si dice a Mosca, è già stato scritto: l'uscita di scena graduale di Dmitrij Medvedev, come se questi suoi quattro anni al Cremlino non fossero mai esistiti, forse il rientro in scena alla guida del Governo di Aleksej Kudrin, l'abile ministro delle Finanze in rotta di collisione, appunto, con Medvedev. «Queste non sono elezioni nel senso europeo del termine - diceva due giorni fa Viktor Shenderovich, scrittore satirico - a nessun partito che costituisca una vera sfida per il regime è stato consentito di partecipare. La domanda è che cosa deve fare chi capisce che tutto ciò è una farsa».
Per Shenderovich la risposta è fare come il maiale Nakh-Nakh, protagonista su internet di una serie di clip in cui - brutto e accigliato, il suo nome un gioco di parole russe a cavallo tra i Tre Porcellini e un insulto - riempie di croci nere le schede elettorali, annullandole. Quanti seguiranno il suo esempio? Quel che sta avvenendo su Rusnet, il mondo online dei russi, d'improvviso ha stravolto la prospettiva di queste elezioni, che oggi rinnoveranno il Parlamento per poi lanciare Putin, il 4 marzo, alla riconquista del Cremlino.
Canzoni che prendono in giro gli elettori fedeli al regime (uno degli hit si intitola "Il nostro manicomio vota per Putin"); insulti a quello che ormai è famoso come il PZhV, il Partito degli imbroglioni e dei ladri (Russia Unita) e che Mikhail Gorbaciov ha definito «una brutta copia del Pcus», il Partito comunista sovietico; denunce, supportate da video girati con il cellulare, di chi ha subìto intimidazioni a votare per il potere nelle fabbriche, nelle università, nelle amministrazioni locali, perfino nelle chiese. E infine i fischi allo stadio, quei fischi contro Vladimir Putin trasmessi in televisione, poi censurati ma ormai liberi di correre su internet, spezzando l'incantesimo della popolarità assoluta del premier: «Dimostrano - ha scritto qualcuno su Facebook - che nella nostra società, e non solo su internet, non tutti ormai sono pronti a tacere».
«Per Putin il grande rischio è che quei fischi si trasferiscano nelle urne», osserva a Mosca l'onorevole Andrea Rigoni, osservatore del Consiglio d'Europa. «La vera battaglia oggi non si combatterà sul risultato, ma sul numero di persone che andranno a votare». Riveleranno le dimensioni della protesta, e questo spiega il nervosismo del Cremlino: «È in gioco il prestigio di Putin», dice Rigoni. Perché i sondaggi sembrano unanimi: oggi Russia Unita non riuscirà a ottenere la maggioranza assoluta. Dal 64% conquistato alle elezioni precedenti, nel 2007, potrebbe scendere addirittura al 39%, o più probabilmente attestarsi sul 50 per cento. Poco per un sistema autoritario che, non lasciando alternative, ha bisogno di un consenso più forte per legittimarsi.
Da qui nasce il timore delle "correzioni", i brogli che 650 osservatori stranieri non riusciranno mai a fotografare con precisione in 95mila seggi, mentre gli osservatori locali sono finiti nel mirino delle autorità. Di fatto è discutibile l'intera campagna elettorale, gestita da uno Stato, come fa notare Rigoni, «che si identifica con il partito. Come ai tempi del Pcus». Ironia della storia, è proprio Ghennadij Zjuganov, inossidabile leader comunista, ad assicurare vigilanza totale ai seggi e a promettere di portare la gente in piazza in caso di falsificazioni di massa: «Se qui scoppia l'incendio - tuona - sarà peggio che in Egitto».

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