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Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2011 alle ore 09:28.

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LONDRA - «La Gran Bretagna è nell'Unione europea perchè è utile per il lavoro britannico, per gli investimenti britannici, per gli scambi britannici. Siamo commercianti e abbiamo bisogno di mercati aperti». David Cameron poche ore dopo il gran rifiuto, già in marcia sulla via di casa, non poteva essere più esplicito. Ha elencato le motivazioni per le quali, nonostante la decisione di non sottoscrivere le nuove intese o - come dicono enfaticamente a Londra - di aver posto il veto, è nell'interesse britannico rimanere nell'Unione. Resta da capire che cosa resterà dell'Unione essendo 26 (con qualche incertezza di alcuni) su 27 membri pronti ad unirsi in un nuovo patto. Ma considerazioni a parte, il premier britannico è stato cristallino. Fin troppo. Mentre a Bruxelles chiudeva un negoziato sbarrando le porte, a Londra s'era consolidata la sensazione di un approccio soft, nel tentativo di salvaguardare l'euro senza provocare e provocarsi troppi danni.

E Londra (quella di Governo), vista da Londra, giura di aver fatto proprio questo, di aver cercato di tutelare l'interesse vitale della City. Lo ha confermato anche il vice premier Nick Clegg, leader liberaldemocratico, rappresentante più eurofilo della forza più europeista del Paese. «Le richieste di garanzie avanzate dal premier - ha detto - erano ragionevoli e moderate. Sottoscritte da tutta la coalizione». Nessuna pressione, quindi, degli euroscettici Tory che da giorni premevano sul Governo?

Improbabile, come ha denunciato l'opposizione laburista. La potenza di fuoco dei conservatori contrari ad ogni progetto europeo che non sia un'utilitaristica condivisione di aree commerciali - ancor più timide di quelle immaginate da David Cameron - è stata potentissima. Sono scesi in campo pezzi pregiati del partito, non ultimo il sindaco di Londra Boris Johnson, esponenti del Governo e gruppi di pressione che controllano decine di voti ai Comuni. I toni sono stati epici con un deputato che ha invitato il premier a non tornare come Neville Chamberlain dai colloqui con Hitler: con un pezzo di carta straccia in mano. E come ha notato l'Economist, David Cameron non l'ha fatto. Il suo niet galvanizza l'ala più radicale dei Tory ed è legittimo attendersi ora nuova pressione per un referendum sull'adesione alla Ue e per bloccare l'uso delle strutture comuni da parte dei firmatari di un accordo europeo che ha assunto carattere intergovernativo per via dell'autoesclusione inglese. I britannici, agendo così, sperano di spuntare concessioni, ma il passaggio è stretto e i commentatori più moderati, incluso il Financial Times, vedono con nettezza l'isolamento che si delinea.

Eppure la missione di David Cameron a Bruxelles non era agevole. L'imperativo categorico era salvare l'euro perché anche per Londra le conseguenze di un collasso della moneta unica sarebbero catastrofiche, ma da declinare con la tutela della City. I servizi finanziari rappresentano il 10% del Pil inglese e un'Eurozona coesa avrebbe messo il Regno Unito in sistematica minoranza nei passaggi chiave. Per questo il premier per allinearsi ai partner aveva chiesto la salvaguardia degli attuali meccanismi del mercato unico blindati da un protocollo per tutelare espressamente la City. Un passaggio, quest'ultimo, per ripararsi da rischi specifici. In particolare: la tassazione sulle transazioni finanziarie; il trasferimento nell'Eurozona delle attività di trading di derivati e di clearing dei titoli denominati in euro ; lo spostamento della European banking authority a Parigi dove ha sede l'Esma. Londra vuole, inoltre, essere libera di fissare i livelli di patrimonio per le proprie banche oltre i limiti proposti da altri Paesi della Ue e dalla Francia in particolare. Un'altra richiesta avanzata da David Cameron e francamente bizzarra, era consentire a società finanziarie americane e asiatiche con sede a Londra di operare fuori dalla Ue senza adeguarsi alle normative comuni.

Il no pronunciato a Bruxelles dal giovane premier aiuterà Londra ad ottenere tutto ciò? È davvero difficile immaginare come, ma aiuterà David Cameron a calmare gli animi più bollenti di un partito in fermento. Consolazione magra per una svolta storica come quella che si è consumata a Bruxelles.

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