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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2011 alle ore 06:36.

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C'è un patrimonio da quasi 170 miliardi di euro custodito dai private banker. È la ricchezza detenuta dagli imprenditori italiani secondo le elaborazioni del Sole 24 Ore sui dati dell'Aipb (Associazione italiana private banking) con il fermo immagine allo scorso giugno. Un capitale utilizzato soprattutto – secondo un'indagine effettuata dall'Associazione – per coprire le esigenze di liquidità e di programmazione, ma che potenzialmente potrebbe essere in parte "liberato" e investito per il rafforzamento patrimoniale dell'azienda grazie al premio fiscale introdotto con il decreto "salva-Italia".
La misura, battezzata Ace (Aiuto alla crescita economica), punta a ridurre lo squilibrio del trattamento tra le imprese che si finanziano con debito e quelle che ricorrono a capitale proprio o che reinvestono in azienda gli utili a riserva. Sull'incremento patrimoniale verrà riconosciuto un rendimento virtuale, pari al 3% per i primi tre anni di applicazione, che potrà essere deducibile dalle imposte sui redditi.
L'incentivo consentirà così di iniettare carburante nei serbatoi delle imprese e dare una spinta al rafforzamento patrimoniale, tradizionale tallone d'Achille del tessuto produttivo italiano rispetto ai concorrenti. L'ultima fotografia scattata da Cerved Group mostra che dal 2007 al 2010 la situazione è migliorata, ma l'Italia resta il fanalino di coda tra i big europei. Dal 2007 al 2010 il capitale netto delle imprese è aumentato del 16,6% (del 15,3% per quelle con un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro). «Hanno inciso – sottolinea Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved Group – soprattutto le regole di Basilea 2, mentre il decreto anticrisi del 2008 (che ha consentito una rivalutazione del valore degli immobili iscritti a bilancio), ha avuto un effetto soprattutto contabile. Questo miglioramento ha costituito un importante argine alla crisi. Tuttavia, nonostante i progressi, le aziende italiane rimangono ampiamente sottocapitalizzate rispetto ai competitor europei: l'incentivo fiscale va quindi nella giusta direzione, perché interviene su un fattore di debolezza strutturale del nostro sistema produttivo». Non solo. «Rafforzare il patrimonio – prosegue De Bernardis – è anche una strada obbligata per le nostre aziende: la liquidità, che in questo momento rappresenta il problema principale delle nostre Pmi, sarà erogata dalle banche in modo sempre più selettivo, privilegiando le imprese maggiormente capitalizzate e quindi più solide».
La nuova misura trova d'accordo esperti e imprenditori. Secondo Roberto Magliulo, presidente della Piccola Industria di Salerno, il provvedimento «consente alle Pmi di avere le spalle più larghe: con il rafforzamento patrimoniale i "piccoli" posso presentarsi alla banche con maggiori credenziali e ottenere un rating migliore». Il premio fiscale permette anche di «liberare risorse per gli investimenti in ricerca o per fare gioco di squadra, due carte indispensabili per poter far fronte alla concorrenza internazionale. Le imprese devono saper cogliere questa opportunità». Uno stimolo «necessario», gli fa eco Bruno Di Stasio, presidente della Piccola Industria di Torino. «I suoi effetti per le piccole imprese – precisa però – si faranno sentire probabilmente solo nel medio-lungo termine. Questo perché la crisi continua a colpire duramente i piccoli e sono poche le aziende di dimensioni ridotte che potranno contare su utili da reinvestire già nel 2012. Così come non sono pochi i piccoli imprenditori che hanno già destinato i capitali propri per salvare le loro aziende e oggi non possono cogliere questa opportunità. In un momento come quello attuale, in cui ottenere credito è sempre più difficile, le imprese devono però comprendere che gli sforzi in direzione di una maggiore capitalizzazione sono indispensabili, perché solo quelle più forti avranno la chance di sopravvivere».

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