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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2011 alle ore 19:21.

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(Reuters)(Reuters)

Chi sta vincendo la Guerra in Afghanistan? Il dibattito, tra propaganda e polemiche, lo ha aperto il Segretario alla difesa statunitense, Leon Panetta che durante la sua recente visita a Kabul si è detto certo che ''le cose stanno andando nella giusta direzione'' e che ''stiamo vincendo questo difficile conflitto''. Il numero uno del Pentagono ha poi lanciato un messaggio alle autorità pakistane: "se riusciremo a prevalere qui sarà bene che anche i pachistani lo facciano con i miliziani annidati nei territori tribali alla frontiera con l'Afghanistan".

La replica del portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid non si è fatta attendere. "Sono dichiarazioni che servono solo a tenere alto il morale dei militari e a nascondere la loro sconfitta. Dopo dieci anni di guerra, gli analisti occidentali hanno ammesso di non aver ottenuto neanche un successo parziale". Ogni giorno "nuovi mujahedin entrano nella fila dei talebani, conducono attacchi con nuove tattiche e con il morale alto contro l'occupazione in ogni angolo del Paese", ha aggiunto il portavoce dei talebani. In realtà i dati oggettivi che emergono dal campo di battaglia danno torto e ragione a entrambi. Le truppe alleate non possono parlare di vittoria poiché in termini militari hanno rinunciato a perseguire questo obiettivo l'anno scorso, quando il presidente Barack Obama ha annunciato il ritiro delle truppe alleate nel 2014, seguito a ruota da tutti i 48 membri della coalizione a guida Nato schierata in Afghanistan.

L'obiettivo da allora è poter ritirare le truppe lasciando la situazione in mano a forze governative affidabili e credibili e negoziando con i talebani un loro rientro nella società. Un compito che dovrebbe venire facilitato con l'apertura di una rappresentanza diplomatica talebana in Qatar con la "benedizione" di Washington anche se il presidente afghano Hamid Karzai nutre poche speranze di poter giungere a una pace con gli insorti che hanno incrementato le azioni militari e soprattutto terroristiche e puntano a tenere duro fino al ritiro alleato.

Bilancio chiaroscuro
Tra i dati positivi che emergono nel confronto militare va sottolineato che nonostante gli alleati schierino ben 130 mila soldati in Afghanistan le perdite nel 2011 hanno registrato per la prima volta in dieci anni di guerra un consistente calo. A oggi i caduti sono 549 tra i quali 411 statunitensi, 43 britannici e 95 degli altri Paesi (9 italiani) contro i 711 registrati nel 2010 dei quali 499 americani, 103 britannici e 95 alleati (13 italiani). In termini complessivi un calo di oltre il 20 per cento che ha almeno due spiegazioni. I talebani cercano per quanto possibile di evitare lo scontro campale diretto con le truppe alleate nel quale artiglieria e velivoli mietono sempre molte vittime tra i miliziani. Basti pensare che a novembre le bombe sganciate dai jet alleati dall'inizio dell'anno erano appena 310 contro le 866 impiegate nel 2010.

Una riduzione di oltre il 60 per cento motivata anche dalla necessità di ridurre le vittime civili. In ogni caso il calo delle perdite alleate, in un contesto di incremento generale degli scontri (più 39 per cento secondo la missione delle Nazioni Unite a Kabul nei primi otto mesi dell'anno rispetto al 2010) è dovuto al crescente impiego di truppe afghane in prima linea. Militari spesso accompagnati in battaglia dai "mentor" alleati e dal supporto aereo della Nato ma che in modo crescente assumono la responsabilità di operazioni complesse. Esercito e polizia afghani dispongono oggi di 350 mila uomini sui 400 mila previsti nel 2014 ma si tratta di numeri teorici perché includono anche decine di migliaia di reclute con poco o nullo addestramento e non tengono conto dell'elevato tasso di diserzione, 24 mila unità nei primi sei mesi di quest'anno.

Non è un mistero che anche dopo il previsto ritiro delle truppe da combattimento, nel 2014, gli alleati prevedano di mantenere in Afghanistan missioni addestrative come la Nato training mission da anni protagonista nella formazione delle forze di Kabul. Dopo aver concentrato negli ultimi due anni le operazioni anti insurrezionali nelle province meridionali di Helmand e Kandahar, il comando alleato punta ora a stabilizzare le regioni orientali lungo il confine col Pakistan e già dal prossimo anno prevede di lasciare la guida delle operazioni alle forze afghane relegando i compiti delle truppe alleate alla consulenza, al supporto aereo e ai raids delle forze speciali. Una decisione presa dagli statunitensi e che sembra puntare a ridurre fin dal 2012 in modo consistente i contingenti alleati. Un progetto che sembra piacere a Londra dove secondo indiscrezioni il governo sta valutando due opzioni di riduzione anticipata degli oltre 9 mila militari schierati in Afghanistan: dimezzarli oppure ridurli a 6.500 effettivi prima della fine del 2013, a seconda della situazione operativa.

Il settore italiano
Luci e ombre anche nella regione Occidentale, posta sotto il comando italiano, dove si è recato oggi in visita il Ministro della Difesa, Giampaolo di Paola che ha parlato di "bilancio positivo" poiché "la transizione procede come previsto". Il ministro resta però cauto sul ritiro dei 4.200 militari italiani schierati nelle province di Herat, Badghis e Farah. "Da qui al 2014 i tempi della progressiva riduzione del nostro contingente militare in Afghanistan dovranno essere calibrati con le diverse esigenze operative che vengono decise dai vertici della missione.

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