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Questo articolo è stato pubblicato il 27 dicembre 2011 alle ore 20:49.

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Negli ultimi giorni la moneta iraniana ha perso il 15% del valore raggiungendo il 20 dicembre il tasso di cambio di 15.500 rial per dollaro sul mercato non ufficiale. Sembra che Ahmadinejad infuriato abbia dato personalmente l'ordine di far chiudere anche gli uffici dei cambiavalute particolamente attivi a Teheran nella zona delle ambasciate. La debolezza del rial è diventato così un elemento della lotta politica con l'opposzione mentre la politica monetaria della Banca centrale iraniana (Bci) finiva sul banco degli imputati. Il Parlamento ha chiesto una audizione al governatore della Bci, Mahmoud Bahmani, fedelissimo di Ahmadinejad e al ministro dell'Economia, Shamseddin Hosseini, per rispondere alle accuse di non aver fatto nulla per sostenere il corso del rial. Entrambi già nell'occhio del ciclone per una serie di scandali finanziari scoppiati nei mesi scorsi in Iran a causa di una scarsa sorveglianza delle autorità preposte ai controlli.

Il presidente Ahmadinejad ha cercato di tranquillizzare la popolazione affemando che «l'economia è stabile» e accusando come di consueto «forze straniere».

La caudta del rial è stato accelerato anche da voci, poi rivelatesi false, su un blocco delle importazioni in provenienza degli Emirati Arabi Uniti. Gli Emirati sono un hub strategico dell'import verso l'Iran dei beni provenienti da tutto il resto del mondo, tutto sotto il controllo occhiuto e la sapiente regia dei pasdaran, i guardiani della rivoluzione.

L'indebolimento della moneta è iniziato ormai da più di un anno (ora è circa al 25-30%) – a causa del drastico piano di tagli ai sussidi pubblici varato da Ahmadinejad, in particolare a quelli sul carburante, per anni venduto a prezzo "politico" di 8 centesimi al litro. Una mossa che ha provocato molte tensioni sociali e scontri presso le pompe di benzina. E' un piano complesso, che ha avuto l'avallo perfino del Fondo monetario internazionale che ha suggerito la stessa ricetta liberista invano all'Egitto e ad altri paesi del Medio Oriente.

Il piano prevede di ridurre gradualmente tutti i contributi pubblici su gas, benzina e altri beni di prima necessità – che pesano sul bilancio dello Stato – sostituendoli con aiuti diretti alle famiglie meno abbienti, ma di importo inferiore ai vantaggi pre-esistenti.
L'obiettivo è risparmiare soldi alle casse del'erario per 60 miliardi di dollari all'anno, e ridurre gli sprechi di energia.

Teheran deve fare economia perché ora le sanzioni sono sempre più dure: il Congresso degli Stati Uniti ha approvato un duro embargo finanziario contro la Banca centrale dell'Iran e le esportazioni di petrolio. Anche Londra si è schierata insieme al Canada al fianco degli Stati Uniti. Molti commentatori ritengono che il recente assalto all'ambasciata britannica a Teheran sia stata una risposta indiretta alle sanzioni finanziarie contro la Banca centrale iraniana.

Ora il presidente americano Barack Obama sta cercando di far adottare le nuove sanzioni anche ai riottosi alleati europei (tra cui l'Italia) e al Giappone, che però sono tra i maggiori importatori di greggio iraniano e in questo momento di grave crisi economica sono cauti nel varare una misura molto pericolosa per le loro economie già in affanno.
Teheran intanrto sta diversificando l'export verso l'Asia in particolare verso Cina e India. Ma Pechino ha subito cercato di ridurre il prezzo delle forniture.

Intanto l'Arabia Saudita (sunnita), da sempre avversaria della Repubblica Islamica (sciita), si è detta pronta ad aumentare la sua produzione di gregio per sostituire le forniture iraniane, grazie anche alla rapida ripresa della produzione libica e di quella irachena che sta gradualmente tornando a buoni livelli. La battaglia per il predominio del Medio Oriente passa innanzitutto dalla capacità di Teheran di reggere il peso delle sanzioni economiche che stanno strangolando la sua moneta e i risparmi degli iraniani.

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