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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2011 alle ore 07:43.
L'ultima modifica è del 30 dicembre 2011 alle ore 08:15.

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I repubblicani senza l'economiaI repubblicani senza l'economia

A botti di Capodanno ancora caldi, martedì 3 gennaio, i conservatori americani inizieranno sotto lo zero dell'Iowa il lungo reality show per selezionare il candidato da contrapporre a Barack Obama alle elezioni presidenziali del 6 novembre 2012.

Primo problema: un pretendente forte, credibile, unitario non c'è. Secondo problema: nessuno dei sette contendenti propone una ricetta economica che suoni diversa dalla semplice ripetizione dello slogan «licenziare Obama». Terzo problema: le diverse anime del mondo conservatore vanno ciascuna per conto proprio e se le danno di santa ragione, contribuendo con attacchi feroci e diffamazioni reciproche a diminuire le chance di vittoria a novembre. I repubblicani pragmatici non sopportano gli iper liberisti, gli isolazionisti fanno le barricate contro gli interventisti, la destra religiosa non si fida dei moderati. Ronald Reagan e George W. Bush erano riusciti a mettere tutta la Right Nation sotto la stessa grande tenda, ma i leader conservatori di oggi sono divisi in fazioni ideologiche e ben lontani dal farcela.

Il risultato politico più evidente è un Barack Obama in lenta ma costante ripresae ancora favorito per la rielezione, nonostante dal dopoguerra a oggi nessun presidente tranne Reagan sia stato confermato alla Casa Bianca con un tasso di disoccupazione superiore al 6%. Oggi la disoccupazione è all'8,6%, ma un anno fa era del 9,8%. Non è ancora un dato su cui poter costruire una campagna di riconferma alla Casa Bianca, ma per la prima volta Obama può cogliere i segnali di una tendenza positiva. Il suo job approval resta sotto il 50%, ma sembra essersi allontanato definitivamente da quota 40%.

Alcuni sondaggi ribadiscono che sono più gli americani che lo vorrebbero cacciare dalla Casa Bianca di quelli che lo riconfermerebbero per altri quattro anni, ma per i repubblicani c'è un quarto problema: il loro gradimento è ancora più basso, i loro no pregiudiziali alla Camera infastidiscono. Eppure gli analisti continuano a segnalare una leggera prevalenza dei candidati conservatori su Obama nei battleground states, gli stati decisivi per la vittoria a novembre. La situazione è ancora fluida e molto dipenderà dalla percezione della salute dell'economica al momento del voto.

La gara dei repubblicani parte, come da tradizione, dall'Iowa, il rettangolone del Midwest che un tempo era tutta prateria e ora fa da granaio dell'impero soprattutto grazie ai finanziamenti federali che sarebbero meno generosi se il processo politico che conduce alla Casa Bianca non partisse da qui. L'Iowa è lo stato natio di John Wayne e dei romantici ponti coperti di Madison County, ma la sua centralità risiede quasi esclusivamente nella prassi di ospitare ogni quattro anni la cerimonia di apertura delle presidenziali. Subito dopo, i riflettori si accenderanno sul New Hampshire. Ma finché gli oltre 1.700 caucus non avranno decretato il primo vincitore del torneo a eliminazione per la Casa Bianca, questo piccolo stato di 3 milioni di abitanti sarà l'indicatore del futuro politico del Paese.

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