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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2011 alle ore 06:38.

dal nostro inviato Claudio Gatti
NEW YORK - Da Honolulu a Teheran: non ci faremo intimidire. È questo il messaggio intrinseco che Barack Obama ha voluto mandare dalla località delle sue vacanze natalizie a Mahmoud Ahmadinejad annunciando un nuovo accordo di vendita di armi all'Arabia Saudita.
Il contratto, da 29,4 miliardi di dollari, prevede la vendita di una flotta di 84 nuovissimi cacciabombardieri F-15s e la modernizzazione di altri 70 velivoli già in dotazione dell'aeronautica reale saudita. Una boccata d'ossigeno per la Boeing e un'iniezione occupazionale per l'economia americana (si parla di 50mila nuovi posti di lavoro distribuiti su 600 aziende subfornitrici in 44 dei 50 stati dell'Unione).
Ma prima ancora che agli elettori americani, l'annuncio della Casa Bianca sembra rivolto agli iraniani. «Questo accordo manda un messaggio forte alla regione, rinvigorisce il già solido e duraturo rapporto tra Stati Uniti e Arabia Saudita e dimostra l'impegno americano a mantenere alta la capacità difensiva saudita, ritenuta elemento-chiave della sicurezza nella regione», recita il comunicato della Casa Bianca.
Come ha poi fatto notare l'alto funzionario del dipartimento di Stato Andrew Shapiro, l'accordo manda infatti «un forte messaggio ai Paesi della regione che gli Stati Uniti sono determinati a mantenere la stabilità del Golfo e dell'intero Medio Oriente».
Dopo la provocatoria minaccia di chiusura da parte degli iraniani dello Stretto di Hormuz, passaggio strategico per le petroliere in uscita dal Golfo Persico, il presidente americano ha sentito il bisogno di far vedere i propri muscoli. Probabilmente per questo ha deciso di annunciare nel pieno del periodo delle feste di fine anno la prima parte di un più ampio accordo di cooperazione militare con l'Arabia Saudita. Parliamo di un'intesa di durata decennale approvata dal Congresso un anno fa che dovrebbe includere anche missili a corto e medio raggio ed elicotteri Apache e Black Hawk. Fino a raggiungere il valore di ben 60 miliardi di dollari.
Secondo gli analisti, non avendo ormai più una presenza militare sul teatro iracheno, Washington si è trovata senza molta scelta: ha dovuto necessariamente puntare sul suo storico alleato nella regione, l'Arabia Saudita. Nonostante i rapporti con Riad si fossero raffreddati parecchio per via delle diverse scelte in risposta alla primavera araba. I sauditi non avevano infatti gradito la decisione americana di abbandonare Hosni Mubarak al proprio destino.
Ma di fronte al rischio che Teheran accresca ulteriormente la propria influenza in un Iraq sempre più nelle mani dei confratelli sciiti, sia Stati Uniti che Arabia Saudita hanno preferito metter da parte ogni incomprensione passata.