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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2012 alle ore 12:41.

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Alexander Lukashenko (REUTERS)Alexander Lukashenko (REUTERS)

Da venerdi prossimo scatta la cortina digitale in Bielorussia: entrerà in vigore una legge approvata a dicembre che vieta di accedere ai siti web registrati all'estero. Significa escludere gran parte dei motori di ricerca, giornali, blog, social network. A guidare la nazione è Alexander Lukashenko, definito dalla stampa internazionale "l'ultimo dittatore d'Europa".

La norma riguarda i cittadini che utilizzano internet café e altri luoghi pubblici per navigare online: in particolare, i gestori dovranno segnalare alle autorità competenti se i loro clienti hanno visitato pagine web fuori dai confini nazionali, altrimenti rischiano la chiusura. Inoltre, gli imprenditori sono obbligati a impiegare soltanto servizi locali (con il dominio ".by"), ad esempio per la vendita di prodotti o l'invio di posta elettronica. In caso di violazioni è prevista una multa di circa 96 euro. Alla legge è associata una lista di indirizzi internet censurati che, quindi, non saranno raggiungibili, inclusi quelli di "natura estremista".

Già durante l'estate Lukashenko aveva puntato il dito contro i manifestanti scesi in piazza per protestare contro la crisi economica, collegandoli con i social network. La Bielorussia è in cima alle classifiche internazionali tra gli Stati che restringono la libertà online. Nelle vicine repubbliche baltiche, invece, l'imprenditoria hitech è decollata da tempo. L'Estonia è la nazione dove Skype ha mosso i primi passi. Ed è anche il primo Paese al mondo che ha abilitato il voto alle elezioni attraverso il cellulare. Anzi, alcuni Paesi emergenti in Asia corrono in avanti. Una legge appena approvata in Malesia, per esempio, rende obbligatorio l'accesso Wi-Fi nei luoghi di ristorazione di Kuala Lumpur con una superficie superiore a 120 metri quadrati.

La lettera di rettifica inviata dall'ambasciata di Bielorussia

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