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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2012 alle ore 08:16.

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Mitt Romney (Ap)Mitt Romney (Ap)

Ciò che succede in Iowa non resta in Iowa, influenza il resto del complicato processo di selezione del candidato repubblicano alle presidenza degli Stati Uniti. Non importa chi abbia vinto i caucus questa notte, o perlomeno importa relativamente, ma è fondamentale prendere nota di chi è riuscito a piazzarsi ai primi tre posti. Mitt Romney, Ron Paul e Rick Santorum, qualunque sia l'ordine finale, sono i candidati che da questa mattina affronteranno la prossima tappa in New Hampshire con la convinzione, abbastanza fondata, di aver ridotto a tre la corsa per la nomination.

Gli altri avranno difficoltà a trovare finanziamenti, volontari e spazio sui media, in una spirale involutiva che spesso costringe al ritiro per evitare ulteriori umiliazioni. Non c'è tempo per rifiatare, c'è poco spazio per reinventarsi o per proporre un messaggio diverso da quello fallito tra i campi di frumento dell'Iowa. I soldi vanno dove ci sono i voti e i voti arrivano più facilmente se ci sono i soldi.
Romney, Paul e Santorum, dunque. Le differenze programmatiche sono minime, soprattutto sulla riduzione del debito pubblico e dell'intervento statale. L'eccezione è la politica estera isolazionista di Ron Paul, fuori sincrono rispetto alla tradizionale, e maggioritaria, linea interventista inaugurata da Reagan e continuata da Bush.

Romney rappresenta l'establishment del partito, l'anima tecnocratica e meno ideologica del mondo conservatore. Ma il pragmatismo non basta a superare quota 25% dei consensi, servono passione ed entusiasmo. Negli ultimi incontri in Iowa, come lunedì sera nel capannone di un'azienda di imballaggi e distribuzione a Clive, Romney ha provato a ritagliarsi l'immagine di candidato populista, ottimista e patriottico, insistendo molto sull'idea che alla Casa Bianca serve un presidente che all'America faccia fare l'America e non l'inseguitrice dell'Europa. Il problema di Romney è che risulta poco credibile, freddo e robotico anche quando cita a memoria i versi di America the beautiful.

Il super liberista, quasi anarchico, Ron Paul è ancora meno "europeo" di Romney, ma la critica radicale alla spesa pubblica e le sue ricette monetarie sono paradossalmente più in sintonia con l'austerità dettata dalla Bce e con le prescrizioni della Bundesbank che con la prassi di Washington e con l'allargamento della massa monetaria cara alla Federal Reserve. Paul non ha alcuna chance di diventare il candidato repubblicano, ma è l'unico dei pretendenti ad aver suscitato entusiasmo, grazie al suo rigidissimo liberismo economico, alle sue posizioni pacifiste e a una strategia simile a quella di Obama del 2008.

L'uomo dell'Iowa però è Rick Santorum, cattolico di origini italiane, ex senatore della Pennsylvania, non rieletto nel 2006 e, all'epoca, considerato finito. Ora, dopo i caucus, è il vincitore della gara nella gara per la conquista della destra religiosa, un'area importante del mondo conservatore e apertamente diffidente del mormonismo di Romney. In questa corsa agli elettori evangelici, Santorum ha eliminato Michelle Bachmann e ha respinto il tentativo di Gingrich e Perry di scavalcare Romney con i voti della destra cristiana e dei Tea Party.

Santorum si ispira alla dottrina sociale della Chiesa, è considerato estremista su alcune questioni legate alla difesa della vita e al ruolo della religione nella vita pubblica, ma al Senato è stato tra i repubblicani più moderati sulle questioni economiche e sull'intervento dello Stato. In questi tempi di crisi, le sue umili origini sono particolarmente attraenti per la working class americana. La domanda, ora, è se ce la farà a durare. Ieri girava con Foster Freiss, multimiliardario dell'Arizona e grande finanziatore del mondo repubblicano. Un segnale che ora anche Santorum avrà a disposizione i mezzi per provarci sul serio.

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