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Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2012 alle ore 06:40.

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di Pierluigi Ciocca Una banca solvibile, dotata di patrimonio netto positivo, non va lasciata fallire qualora nel mercato monetario – imperfetto anche perché interessato alla illiquidità, più che all'insolvenza, dei debitori – il suo fabbisogno di danaro non trovi soddisfazione nemmeno ai tassi d'interesse elevati che la banca in temporanea difficoltà sarebbe disposta a pagare (razionamento).
La soluzione – chiarita analiticamente da Henry Thornton nel 1802 – è stata da tempo affidata alla istituzione "banca centrale". Quale "banca delle banche" essa può discrezionalmente intervenire accordando credito di ultima istanza – a condizioni non di favore – alla banca commerciale sana, ma razionata nel mercato monetario. L'entità dei debiti della banca è irrilevante, purché essi siano inferiori ai crediti, prudentemente valutati dalla banca centrale.
Se il meccanismo non operasse e banche patrimonialmente solide fossero lasciate fallire si dissiperebbero risorse. Si impennerebbero i rischi di indifferenziata, contagiosa sfiducia, dissesti a catena, recessione.
Il caso di uno Stato è diverso, ma può essere risolto per analogia.
Economicamente, uno Stato non esiste per erogare crediti, variamente rischiosi. Esiste per spendere a vantaggio dei cittadini, tassando i cittadini. Se ha contratto debiti perché in passato le sue uscite hanno ecceduto le entrate, lo Stato – che supponiamo non disponga di cespiti patrimoniali – non è per ciò stesso insolvente. Anche senza ridurre le spese lo Stato può tassare, tanto da portare il bilancio in avanzo e rimborsare i creditori che non fossero disposti a rinnovare i titoli pubblici in scadenza.
Un bilancio pubblico vincolato all'equilibrio sarebbe di per sé garanzia che non vengano contratti debiti nuovi, su base netta. La restituzione di quelli in essere avverrà sostituendoli con dei nuovi, ma solo su base lorda.
Nondimeno, uno Stato con bilancio in equilibrio potrebbe essere razionato nel mercato obbligazionario, imperfetto anche perché sensibile alle – improprie – valutazioni politiche delle agenzie di rating. L'impossibilità di ottenere credito, seppure a tassi di interesse elevati, costringerebbe allora lo Stato – che avesse rinunciato al signoraggio, a battere moneta – alla interruzione dei pagamenti, con ripercussioni economiche, sociali, di ordine pubblico potenzialmente devastanti.
Se lo Stato non torna a battere moneta la soluzione può ricercarsi nel credito di ultima istanza della banca centrale, in analogia – mutatis mutandis – con il caso della banca commerciale illiquida ma non insolvente.
Giappone e Stati Uniti beneficiano di bassissimi tassi d'interesse sui titoli governativi nonostante gli annosi squilibri della finanza pubblica e dell'economia (comprensivi di un rapporto deficit/Pil doppio di quello italiano e di un debito elevato e montante). Ciò avviene perché gli operatori di mercato sanno che la Fed e la Banca del Giappone risolverebbero eventuali problemi di illiquidità dei rispettivi Governi, problemi che quindi di rado insorgono.

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