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Questo articolo è stato pubblicato il 03 febbraio 2012 alle ore 07:39.

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ROMA - «Intimidazione», «ritorsione», «vendetta»: è durissima la reazione dei magistrati alla notizia del voto della Camera sulla responsabilità civile dei giudici, al punto che i vertici dell'Anm non escludono proteste «immediate» ed «estreme» come lo sciopero. Né i toni si abbassano con il passare delle ore e malgrado il richiamo del segretario del Pd Pierluigi Bersani a evitare «eccessi» nel dialogo tra istituzioni. L'Anm fa sapere che «valuterà ogni iniziativa per contrastare questa mostruosità giuridica» che «non ha paragoni in nessun paese europeo e in nessun ordinamento democratico al mondo», osserva il segretario Giuseppe Cascini, aggiungendo che «in ballo non ci sono gli interessi dei magistrati ma la difesa della libertà dei cittadini». La decisione sarà presa martedì dal Comitato direttivo centrale, subito convocato. Ma anche i giudici amministrativi fanno sentire la loro voce contro la norma «iniqua» che li riguarda: «È un attacco ingiusto e ingiustificato alla magistratura nel suo complesso» dice il segretario dell'Anm Giampiero Lo Presti.

Le toghe non si aspettavano che 'l'emendamento-Pini' sarebbe stato riesumato e approvato, per di più da una maggioranza così ampia. Appresa la notizia, sulle mailing list è partito il tam tam della protesta perché la norma è «incostituzionale» e «ritorsiva». Molti, come Nello Rossi, procuratore aggiunto di Roma e componente del Cdc, hanno chiesto alla giunta dell'Anm di proclamare lo stato di agitazione e di convocare d'urgenza il parlamentino delle toghe. «Non ci si può limitare a sperare che il Senato corregga o che la Consulta dichiari in un lontano futuro l'illegittimità della norma - ha detto Rossi -. Occorre che la magistratura, attraverso adeguate iniziative, inclusa la proclamazione di uno sciopero immediato, faccia comprendere anche ai più sordi l'entità della posta in gioco».

A giugno dell'anno scorso, sull'emendamento-Pini era piovuta la stroncatura del Csm perché la norma minerebbe l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Il testo votato ieri è stato in parte modificato, ma resta il principio della responsabilità diretta delle toghe, a cui il cittadino potrà rivolgersi senza più il filtro dello Stato. Un unicum in Europa, aveva ricordato il Csm, sia a livello di legislazione che di giurisprudenza, compresa la Corte di giustizia Ue invocata dalla Lega per giustificare la norma. I giudici di Lussemburgo, infatti, non hanno chiesto all'Italia di modificare la legge 117 dell'88, ma hanno stabilito che in caso di manifesta violazione del diritto europeo lo Stato deve comunque risarcire il danno a chi lo ha subito, indipendentemente dal dolo o dalla colpa grave del giudice responsabile. È dunque lo Stato a rispondere del danno (anche perché «il diritto dell'Unione conosce un solo responsabile, lo Stato»), fermo restando il suo diritto di rivalsa nei confronti del magistrato, sempre che abbia agito con dolo o colpa grave e con esclusione di qualunque forma di responsabilità per «l'attività di interpretazione di norme di diritto». Secondo il Csm, in questi termini si sarebbe dovuto muovere il legislatore per garantire autonomia e indipendenza al magistrato e per impedire il proliferare del contenzioso sulla base di una norma che chiunque si senta insoddisfatto dell'esito del giudizio potrebbe usare come arma «per incutere timore al giudice». Osserva Cascini: «La responsabilità diretta è uno strumento nelle mani della parte forte del processo per condizionare il giudice e la sua decisione». (D. St.)

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