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Questo articolo è stato pubblicato il 03 febbraio 2012 alle ore 07:40.

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di Donatella Stasio
ROMA - «Chi sbaglia, paga»: lo slogan brandito contro i magistrati dall'ex guardasigilli Angelino Alfano non più di otto mesi fa ha trovato alla Camera un'ampia maggioranza. Ieri, complice il voto segreto, è stato infatti approvato l'emendamento del leghista Gianluca Pini sulla responsabilità 'diretta' delle toghe, senza più il filtro dello Stato, anche nei casi di «violazione manifesta del diritto».

Quel che non era passato sotto il governo Berlusconi si è dunque materializzato con il governo Monti. Che ha incassato la sua prima, clamorosa sconfitta, non a caso sulla giustizia. Nonostante il parere negativo dell'Esecutivo, la norma che modifica la legge 117 dell'88 è stata approvata con 264 sì mentre i no sono stati soltanto 211. In teoria dovevano essere 412, quelli della maggioranza più quelli dell'Idv. Invece si sono fermati poco oltre la metà. Ai voti favorevoli di Lega, Pdl, Radicali e Popolo e territorio se ne sono aggiunti 157 di cui resta sconosciuta la paternità. Fabrizio Cicchitto (Pdl) parla di «maggioranza trasversale», nega che il voto del suo gruppo sia «contro il governo» ma, piuttosto, «contro la prepotenza di chi ritiene di essere una sorta di dominus nella vita politica italiana» (leggi: i magistrati). «È una cazzata parlare di fronte trasversale» ribatte il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, escludendo che nel suo gruppo ci siano stati franchi tiratori e puntando l'indice contro il Pdl che, così facendo, «destabilizza il percorso per salvare l'Italia». E a Monti chiede di battere un colpo: «Noi non assisteremo al riemergere delle vecchie maggioranze sulla Rai e sui giudici. Il governo faccia il punto con le forze che lo sostengono». Minimizza il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà, convinto che la vicenda «non porterà problemi alla maggioranza». Dalle prime parole del ministro della Giustizia, Paola Severino, sembra di capire che al Senato si lavorerà «per qualche miglioramento» e non per espungere la norma dal testo della legge comunitaria e inserirla in una disciplina organica sulla responsabilità civile dei giudici, sebbene questo avesse dichiarato in aula il ministro Enzo Moavero Milanesi.

La Lega canta vittoria. Otto mesi fa, dopo un lungo tira e molla, era stata costretta a rinunciare all'emendamento, scomparso dalla legge comunitaria 2010. Lo scontro, con l'opposizione e la magistratura, era stato durissimo e nonostante Berlusconi ne avesse fatto una norma manifesto, furono proprio alcuni dei suoi a frenare la Lega e a suggerire quanto meno un testo diverso. Quello approvato ieri attenua uno dei punti critici dell'emendamento originario e cioè l'obbligo di risarcire il danno anche in caso di «manifesta violazione di diritto». La norma spiega infatti che cosa si debba intendere con questa espressione, ma fa comunque scattare la responsabilità indipendentemente dal dolo o dalla colpa grave. Il punto più dirompente della riforma è però la responsabilità diretta: il cittadino (e persino l'Ue) potrà chiedere direttamente al magistrato il risarcimento dei danni (patrimoniali e non) e non più in prima battuta allo Stato (che poi si rivale sul magistrato).

Al di là del merito della norma e delle ragioni che l'hanno ispirata, il voto di ieri apre senz'altro un caso politico delicato per il governo ed è una spia delle mai sopite tensioni sulla giustizia. Che resta terreno scivoloso. Il leader dell'Udc Pierferdinando Casini riconosce l'esistenza di franchi tiratori e ammette che sul tema ci sia «una sensibilità del Parlamento». «La norma Pini è una cosa giusta, messa nel posto sbagliato», aggiunge. Ma nel Terzo Polo Italo Bocchino (Fli) parla di «vendetta della casta contro la magistratura». Il leader dell'Idv Antonio Di Pietro prevede «una nuova Mani pulite del popolo che alzerà i forconi». Rosy Bindi incalza il governo a dare «un segnale forte» altrimenti, avverte, il Pd non voterà la legge comunitaria.

Sul fronte opposto, Pini definisce una «norma di civiltà» il suo emendamento e rimanda al mittente (l'Anm) l'accusa di «intimidazione». Per il vicepresidente del Pdl Maurizio Lupi l'Anm è «la vera casta» e i colleghi di partito Alfredo Mantovano e Guido Crosetto chiedono al Capo dello Stato, quale presidente del Csm, di «tutelare la dignità del Parlamento dagli attacchi delle toghe». Insomma, forse il clima non è affatto cambiato.

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