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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2012 alle ore 15:47.

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Meno denaro, meno soldati e meno mezzi. Di Paola presenta la riforma della Difesa. Nella foto un caccia F-35 Lightning II (Ansa)Meno denaro, meno soldati e meno mezzi. Di Paola presenta la riforma della Difesa. Nella foto un caccia F-35 Lightning II (Ansa)

Dopo giorni di indiscrezioni e notizie trapelate alla stampa il ministro della Difesa, Giampaolo di Paola ha illustrato in Senato (senza però fornire molti dettagli) i termini della riforma dell'apparato militare che nei prossimi cinque o sei anni vedrà ridursi di un terzo le strutture, cioè i comandi e i reparti. «L'obiettivo minimo è quello di una progressiva riduzione strutturale del 30 per cento in 5-6 anni», ha detto il ministro sottolineando che «attraverso un sostanziale dimagrimento della struttura» si potrà ottenere «una migliore efficacia dell'operatività» e sarà possibile«liberare un importante piano di dismissione delle infrastrutture». Un taglio che dovrebbe riguardare comandi territoriali e logistici ma anche molte unità operative. «Per la componente terrestre si ridurranno le brigate di manovra da 11 a 9, la linea dei mezzi pesanti, carri e blindo, la linea elicotteri e un numero significativo di unità per il supporto al combattimento, unità di artiglieria, e logistiche», ha detto questa mattina il ministro alle Commissione Difesa di Camera e Senato. «Per la componente marittima - ha aggiunto - si contrarranno le linee delle unità di altura e costiere, i pattugliatori per esempio si ridurranno da 18 a 10, dei cacciamine e dei sommergibili, da 6 a 4. Per la componente aeronautica si contrarranno le linee degli aeromobili per la difesa aerea e dei velivoli della linea aerotattica».

Tagli che contrastano con quanto affermato dallo stesso Di Paola che al Consiglio dei ministri di ieri aveva definito la riforma con lo slogan «meno generali e ammiragli, più operatività e tecnologia». A quanto pare verranno accorpati scuole e centri logistici, chiuderanno comandi territoriali ormai inutili ma anche brigate (sembra la Granatieri di Sardegna e la Pozzuolo del Friuli) e reggimenti soprattutto corazzati e di artiglieria, specialità già trascurate negli ultimi anni perché non richieste nelle attuali missioni oltremare, ma che potrebbero rivelarsi importanti nelle crisi future. L'Aeronautica dovrà ridurre a quanto sembra la sua flotta di caccia Typhoon (96 previsti) e si dovrà accontentare di 75 nuovi cacciabombardieri F-35 più altri 15 destinati alla Marina dopo che Di Paola ha annunciato una riduzione del programma al centro di dibattiti e polemiche dai 131 velivoli previsti a 90. «È perseguibile da un punto di vista operativo e di sostenibilità - ha detto Di Paola - un obiettivo programmatico dell'ordine di 90 velivoli, con la riduzione di circa 40, pari a un terzo del programma, una riduzione importante che tuttavia salvaguarda anche la realtà industriale». L'accordo con Lockheed Martin, azienda statunitense produttrice dell'F-35, prevede che l'Italia non scenda sotto i 100 velivoli ordinati pena la perdita delle compensazioni industriali.

Probabile quindi che le intese siano state ridefinite con una soglia più bassa o che in futuro il numero totale dei jet aumenti di qualche unità. Per l'acquisto di 131 velivoli era prevista una spesa di 15,85 miliardi di euro tra il 2010 e il 2027, che verrà ridimensionata probabilmente intorno ai 10 miliardi dai tagli annunciati. Anche la Marina perderà notevoli capacità operative, con la riduzione delle fregate Fremm da 10 a 6, il dimezzamento di corvette e pattugliatori e soli 4 sottomarini. Riduzioni di reparti, comandi e mezzi che dovrebbero comportare un taglio di oltre 300 colonnelli (sui 1.400 oggi in servizio) e 92 generali su 425. «Per l'alta dirigenza, generali e ammiragli a tre stelle, si dovrà prevedere un riduzione superiore alla media dell'altro personale, che potrà essere di circa il 30 per cento, da 48 a 35, per rendere la dimensione di tale livello più coerente col ridimensionamento complessivo dello strumento», ha detto Di Paola ma sul taglio al numero complessivo di generali forse si potrebbe fare di più tenendo conto che le forze armate statunitensi hanno 900 generali ma ben un milione e mezzo di militari. Del resto sarebbe sufficiente, solo per fare un esempio legato all'Esercito, accorpare più battaglioni sotto i comandi di reggimento (come fanno britannici e statunitensi) e dimezzare le brigate irrobustendole con reggimenti "veri" e gruppi d'artiglieria. Lo stesso si potrebbe fare in Aeronautica, accorpando più gruppi di volo agli Stormi riducendo così i costi amministrativi, il numero di colonnelli e generali. Il tutto senza chiudere nessun reparto operativo.

Il calo del personale previsto dalla riforma annunciata da Di Paola vedrà gli attuali 183 mila militari (destinati a diminuire di 3 mila unità entro quest'anno) e 43 mila civili calare fino a 151 mila uomini e donne in uniforme e 20 mila civili. In pratica 43 mila posti di lavoro in meno che si vorrebbero ottenere con i pensionamenti e i passaggi di personale ad altre amministrazioni pubbliche. Le forze armate dovrebbero schierare 90 mila militari nell'Esercito ( 17mila in meno rispetto a oggi), 27mila in Marina (7 mila in meno) e 34 mila in Aeronautica (10 mila in meno) entro i prossimi dieci anni o venti anni. Tempi decisamente troppo lunghi per ribilanciare lo strumento militare che rischiano di creare un corto circuito finanziario. Il budget della Difesa dedica quest'anno alle forze armate 13,6 miliardi che caleranno a 12 miliardi nei prossimi due anni. Solo gli stipendi assorbono il 71 per cento del bilancio, una percentuale destinata ad aumentare nei prossimi anni a causa del calo delle risorse complessive e alla lenta diminuzione degli organici. L'equilibrio virtuoso del bilancio prevede solo il 50 per cento per le spese del personale e il resto diviso tra manutenzione e addestramento e l'acquisizione di nuovi mezzi ma se per raggiungerlo occorrerà così tanto tempo resta il rischio concreto di avere nei prossimi anni forze armate trasformate in "stipendificio" con capacità operative limitate dalla mancanza del denaro necessario a gestire e mantenere in manutenzione i mezzi, inclusi quelli più moderni appena acquistati. L'Italia del resto assegna alla Difesa lo 0,86 del prodotto interno lordo, esattamente la metà della media europea.

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