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Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2012 alle ore 14:30.

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Nel 1938 i computer connessi a internet non esistevano. E anche la televisione era un media sconosciuto ai più. Ma in quell'anno un dettame reale - per l'esattezza l'articolo 27 del regio decreto 246 del 21 febbraio 1938 - sancì che sono sottoposti a canone tutti gli «apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo».

La polemiche sulla rete. Parole scolpite nel diritto e mai più rimosse. Tanto che "mamma Rai", come ogni anno, le ha rispolverate con lo scopo di aumentare la platea di cittadini e imprese che pagano il canone Rai. Ottenendo anche l'effetto, prevedibile, di attirare critiche e insulti da parte dei contribuenti. Su Twitter, per esempio, la protesta non usa mezzi termini: in queste ore, i cinguettii sul tema si raccolgono intorno alla parola chiave #raimerda.

Il testo della lettera. Quest'anno nel mirino sono finite soprattutto le imprese e gli studi di professionisti, che spesso non hanno la tv, ma che hanno uffici pieni di computer connessi a internet. Negli ultimi giorni moltissime imprese e studi, tra cui autotrasportatori e odontotecnici, hanno ricevuto per posta l'invito a sottoscrivere l'abbonamento speciale Rai, anche se non hanno alcun televisore nei locali di lavoro. Basta un computer.

«La informiamo – si legge nella comunicazione ricevuta da un lettore del Sole 24 Ore – che le vigenti disposizioni normative impongono l'obbligo del pagamento di un abbonamento speciale a chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive al di fuori dell'ambito familiare, compresi computer collegati in rete indipendentemente dall'uso al quale gli stessi vengono adibiti». Stando al diritto, quindi, è sufficiente avere un computer connesso a internet per incappare nell'obbligo dell'abbonamento speciale, il cui importo parte da un minimo di 200,91 euro.

Parlamentari contro la Rai. Sul tema si preannuncia una dura battaglia parlamentare: sia dal Popolo della libertà sia dal Partito Democratico sono arrivate critiche alla campagna di comunicazione lanciata dall'emittente di Stato. «Il combinato disposto di una serie di articolati consentirebbe di esigere il canone anche da chi ha un semplice iPad, una patente stortura», ha spiegato in una nota Bruno Murgia, deputato del Pd, che già nel 2007 ha presentato alla Camera un proposta di legge per esentare dal canone i proprietari di pc, videofonini e palmari. «Pretendere denari da chi paga regolarmente il canone per le proprie abitazioni non è tollerabile», ha sottolineato, senza contare che «la pressione fiscale ha già superato il livello di guardia».

Sulla stessa linea Giancarlo Sangalli, senatore Pd. «Si sta veramente esagerando», ha detto in un comunicato, «presenterò un'interrogazione al presidente Monti nella sua qualità di ministro dell'Economia. In un momento di così grave difficoltà per numerose imprese, l'imposizione dell'ennesima tassa è del tutto fuori luogo». Dunque, ha aggiunto, mi auguro che il presidente Monti voglia al più presto intervenire sulla questione tenendo ben presente che imprese e autonomi vanno, ora più che mai, favoriti e sostenuti non certo penalizzati con nuove e assurde vessazioni».

Dal Pd anche Vincenzo Vita ha bocciato la richiesta di canone per i computer. È «un'interpretazione burocratica della normativa. Infatti, la legge in materia fu immaginata in una stagione assai precedente all'epoca della rete», ha ricordato, «è bene che si corregga una simile forzatura mettendo piuttosto un impegno più forte nel contrasto all'evasione del canone».

Dura anche la reazione della Lega. «Si tolgano dalla testa la Lei e gli altri prezzolati dirigenti di Viale Mazzini di incassare la tassa sui computer», ha dichiarato, il senatore Gianvittore Vaccari capogruppo in commissione Bilancio. «Se la Rai dovesse insistere su questa gabella chiederò al ministero dell'Economia di congelare i soldi del canone fino a quando da viale Mazzini non fanno un passo indietro», ha avvertito.

«Un altro assurdo balzello si abbatte sulle imprese italiane. Questa volta è la Radiotelevisione italiana ad esigere il pagamento dell'abbonamento speciale per il possesso di apparecchi come computer e simili, normalmente non finalizzati alla ricezione di programmi televisivi. Insieme alla neve, infatti, nei giorni scorsi sono fioccate su milioni di imprenditori e lavoratori autonomi anche le richieste della Rai di pagare il canone speciale dovuto in virtù di un Regio Decreto del 1938». A far scattare la protesta di Rete Imprese Italia (Casartigiani, Confartigianato, Cna, Confcommercio, Confesercenti) è l'imposizione del tributo sul possesso non solo di televisori ma anche di qualsiasi dispositivo atto o adattabile a ricevere il segnale tv, inclusi monitor per il Pc, videofonini, videoregistratori, Ipad, addirittura sistemi di videosorveglianza. Come dire che basta avere un computer per essere costretti a pagare una somma che, a seconda della tipologia di impresa, va da un minimo di 200 euro fino a 6.000 euro l'anno.

E così Rete Imprese Italia ha calcolato che quasi 5 milioni di aziende italiane dovranno sborsare 980 milioni di euro. Chi non paga è soggetto a pesanti sanzioni e a controlli da parte degli organi di vigilanza. Secondo Rete Imprese Italia «quella del canone speciale Rai è una richiesta assurda perchè vengono 'tassatì strumenti come i computer che gli imprenditori utilizzano per lavorare e non certo per guardare i programmi Rai. Tanto più se si considera che il Governo spinge proprio sull'informatizzazione per semplificare il rapporto tra imprese e Pubblica Amministrazione. In questo momento di gravi difficoltà per i nostri imprenditori, di tutto abbiamo bisogno tranne che di un altro onere così pesante e ingiustificato». Rete Imprese Italia chiede l'intervento del Governo e del Parlamento per esonerare le aziende dal pagamento del canone tv. In una lettera inviata al Presidente del Consiglio Mario Monti e al Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, Rete Imprese Italia sollecita l'esclusione da qualsiasi obbligo di corrispondere il canone in relazione al possesso di apparecchi che fungono da strumenti di lavoro per le aziende, quali computer, telefoni cellulari e strumenti similari.

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