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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2012 alle ore 12:02.

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L'inviata di guerra del Sunday Times Marie Colvin. (Reuters)L'inviata di guerra del Sunday Times Marie Colvin. (Reuters)

Era sopravvissuta alle granate dell'assedio di Sarajevo negli anni '90, durante la guerra in Cecenia per giorni venne data per dispersa, qualche tempo dopo cadde in un agguato delle forze singalesi, fu gravemente ferita e perse un occhio mentre si avventurava nella regione della gurriglia Tamil: la benda nera, che risaltava sul suo viso opalescente e i capelli biondi, era come un monito sui pericoli di questo mestiere in zone di guerra.

Marie Colvin, inviata del Sunday Times, era una figura notissima e indimenticabile. Homs, la città martire della rivolta siriana, le è stata fatale: nel cannoneggiamento del centro stampa allestito dai ribelli nel quartiere di Bab Amro questa mattina hanno perso la vita Marie Colvin, il reporter francese Remy Ochlik, e altri tre gionalisti sono rimasti feriti.
La Siria sta diventando una trappola mortale: in gennaio a Homs era stato ucciso da un colpo di mortaio, davanti agli occhi della moglie, fotogiornalista, Gilles Jacquier, grande reporter di France 2, mentre nei giorni scorsi ci ha lasciato la pelle, per un attacco di asma, il premio Pulitzer del New Tork Times, Anthony Shadid, mentre attraversava clandestinamente il confine con la Turchia.

E' quasi certo che a colpire il centro stampa siano state le forze di Bashar Assad che martellano Homs da giorni con dozzine di vittime e in una situazione di gravissima crisi umanitaria: i media che fanno reportage sul fronte dei ribelli stanno diventando sempre di più un bersaglio, non si sa fino a che punto mirato, della repressione delle forze di sicurezza. Il regime garantisce qualche visto per l'ingresso dei giornalisti ma tende ovvviamente a controllarne i movimenti, dentro e soprattutto fuori Damasco. Chi entra clandestinamente e si infiltra nella città assediate come Homs rischia la pelle per informare in maniera indipendente e completa.

L'americana Marie Colvin aveva coraggio da vendere e grandi capacità professionali: non so più quanti premi abbia vinto ma la ricordo in tutti gli scenari di guerra e durante il conflitto dei Balcani fu tra i pochissimi giornalisti a rimanere dentro le linee serbe in Kosovo mentre si scatenava la pulizia etnica.
Questo è un mestiere che si fa per passione, anche per curiosità e ambizione personale, ma Marie Colvin, quasi sempre vestita di scuro, con quella benda, era come la Madonna nera di un giornalismo assoluto e senza esitazioni, il più vicino alla ricerca della verità.

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