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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2012 alle ore 17:04.

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E sì, i mali dell'Inter non erano tutta colpa di Gasperini, lo dicono i numeri. La squadra nerazzurra è crollata ieri sera per la quinta volta consecutiva. Un ruzzolone di quelli che fanno storia, tanto è il clamore che ha provocato nelle segrete stanze di via Durini. C'è chi dice che Ranieri sia arrivato al capolinea, che la sua sostituzione sia soltanto questione di tempo. Ma Moratti non ha ancora sciolto le riserve. Al contrario di Ranieri, che invece ha già dichiarato che se fosse al posto del patron non licenzierebbe il tecnico, cioè se stesso.

Prima quel filotto di otto vittorie che scomodava gli esperti di statistica e portava ai lacrimoni i tifosi neroazzurri in cerca di nuove ragioni per sorridere. Poi la discesa verso gli inferi con una serie nefasta che ha permesso a Zanetti e compagni di raccogliere un punto, ripetiamo, un punto nelle ultime otto gare. Il sali e scendi della stagione del Biscione sta facendo venire la nausea anche ai più forti di stomaco. Che non vedono l'ora di scendere dall'ottovolante per un più doloroso ma più rassicurante autoscontri.

Ranieri è passato in meno di un paio di mesi dall'essere il salvatore della patria a uno dei tanti allenatori del dopo Mourinho: bravo, ma non bravissimo, utile, ma non necessario. E soprattutto, (non) vincente, che poi è quello che conta se ti capita di guidare una corazzata della stazza e della tradizione dell'Inter. A dirla tutta, Moratti aveva chiamato Ranieri per il dopo Gasperini con un'unica grande convinzione: per sistemare la squadra rivoluzionata e rivoltata come un calzino dall'ex tecnico del Genoa era necessario un uomo di polso, in grado di ripartire dall'abc, cose semplici e pedalare. Tutto qui.

E Ranieri ha svolto il compito alla perfezione. Ha rimesso in moto una macchina che stentava a partire, ridistribuendo i compiti e ridefinendo le strategie. Ma non è riuscito ad andare oltre. Un po' come ha fatto al Valencia, al Chelsea, alla Juventus e alla Roma. Di lui si dice da tempo: ottimo allenatore, quadrato e affidabile, ma sicuramente poco incisivo, soprattutto nei momenti clou, quando si tratta di fare l'ultimo allungo per tagliare il traguardo. Per sfortuna, certo, perché quando non gira come dovrebbe c'è poco da fare. Ma anche per evidenti responsabilità, che gravano e non poco sulla sua esperienza in neroazzurro.

La prima: non avere avuto il coraggio di tenere fuori Sneijder sebbene tutto andasse per il verso giusto. Il centrocampo a 4 tutto grinta funzionava e garantiva copertura. Con l'olandese, la squadra ha perso le certezze che aveva faticosamente trovato. La seconda: non essersi riuscito ad imporsi alla cessione di Thiago Motta. I contratti vanno rispettati fino in fondo, altrimenti sono carta straccia.

Poco importa se l'italobrasiliano meditava da tempo l'addio, andava trattenuto fino alla fine della stagione. La terza: aver avallato una preparazione invernale meno lunga del solito e al freddo della Pinetina. Regole certe per fare bene in questo ambito non ce ne sono, epperò lo stato di forma della squadra al ritorno in campo non è accettabile. La quarta: non aver dato certezze ai suoi giocatori negli ultimi due mesi, cambiando spesso posizioni e priorità a centrocampo e in attacco. Dicono i saggi, quando le cose non vanno, meglio fermarsi e prendere fiato, piuttosto che continuare a muovere l'acqua. Si rischia di affondare. Un po' quello che sta capitando a Ranieri e alla sua Inter.

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