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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2012 alle ore 20:50.
L'ultima modifica è del 02 marzo 2012 alle ore 18:24.

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I contratti di Credit-default swap (Cds) sul debito greco a cinque anni sono volati a livelli record, segnalando il 99% di probabilità di default entro il quinquenno sugli schermi Bloomberg.

In presenza della più grande ristrutturazione della storia moderna (cinque volte il default argentino che era solo di 90 miliardi di dollari rispetto ai 357 miliardi di euro di debito greco), che cosa vuol dire questo dato del 99% di probabilità di default, visto che entro l'8 marzo i detentori dei 206 miliardi di euro di bond greci in mano ai privati (gli altri sono 76 miliardi di euro in prestiti Ue-Fmi, 60 miliardi di euro anticipazioni della Bce, 15 miliardi di TBill) dovranno dire se aderiscono o meno allo scambio volontario o ristrutturazione del debito con perdita (haircut) del 53,5% del valore facciale dell'obbligazione?

Atene, nonostante la rassicurazioni di importanti politici europei come il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy, che nel maggio 2010 in occasione del primo piano da 110 miliardi di euro dicevano che la Grecia non sarebbe fallita, ora è alle prese con una ristrutturazione del debito, parola più cauta di bancarotta, perché così si pensa di non far scattare (per il momento come detto dall'Isda) il "credit event" e i successivi pagamenti dei Cds di copertura.

Il debito di Atene è una questione molto complessa, perché discutendo del destino di appena 3,25 miliardi di Cds greci netti e di 70 miliardi di euro lordi, si decide, in realtà, della sorte di tutti i Cds del mondo, una montagna di derivati pari a 2.900 miliardi di dollari.

Ecco perché Atene è diversa dalla crisi argentina o di quelle che l'hanno preceduta: 1) ora abbiamo un paese Ocse e dell'eurozona nell'occhio del ciclone; 2) ci sono i derivati e le leve finanziarie a multipli inimmaginabili, nel caso argentino non erano presenti; 3) nel 2005 l'Ecofin, dietro pressioni di Germania e Francia, decise di indebolire lo «stupido» Patto di Stabilità che impediva deficit eccessivi dei paesi eurozona. Oggi a Buxelles 25 paesi su 27 firmano il Fiscal compact, cioè il ritorno all'originario Patto di stabilità che prevede rigore nei conti, sanzioni e pareggio di bilancio.

E Atene? Standard & Poor's ha dichiarato che la Grecia è in uno stato di "selective default", ma le 10 banche e cinque fondi che hanno pertecipato al comitato dell'International Swaps e Derivatives Association (Isda) giovedì 1° marzo 2012 hanno deliberato che per il momento non c'è nessun credit event sui bond greci. Non è una sorpresa. Per ora. Ma il diavolo è spesso nei dettagli e in questo caso è proprio nei dettagli che si annida la sorpresa.

L'Isda si è espressa su due questiti: il trattamento privilegiato riservato alla Bce, che non subirà perdite dalla ristrutturazione, non rappresenta un credit event né tantomeno l'inserimento delle clausole di azione collettiva (Cac) fatto retroattivamente dal parlamento greco nei giorni scorsi. Bene? Cautela. Se non ci fosse un elevata adesione entro la sera del'8 marzo allo swap (scambio) da 206 miliardi di euro con taglio del 53,5% del valore facciale, le cose potrebbero cambiare. L'Isda ha già detto, in passato che l'uso obbligatorio delle Cac per ridurre il debito e cambiare i tassi di interesse potrebbe innescare i Cds.

Se l'Isda, anche in questo caso, non lo farà, allora, ma solo in quel momento, gli investitori avranno seri motivi per mettere in discussione il valore del contratto di assicurazione sul debito sovrano operato dai Cds in generale. Tuttavia c'è ancora tempo per scoprirlo. Almeno fino alla sera dell'8 marzo. La sensazione è che ci siano due fronti contrapposti in battaglia: quelli che si sono assicurati con i Cds sulla Grecia in caso di default e vogliono far scattare il credit event e quelli che hanno assicurato il rischio e che vogliono una ristrutturazione ordinata senza credit event.

Dall'esito di questa battaglia dietro le quinte dipenderà la sorte dei 14-16 miliardi di bond in mano ai piccoli investitori retail privati, di cui 1 in Italia. Si tratta di 7 miliardi di perdite in tutto per i retail, ma saranno un costo politico enorme. Non sarebbe stato meglio alzare dal 53,5% al 55% l'haircut per gli istituzionali e lasciare i piccoli investitori fuori dalle perdite? Chi gestirà la rabbia del piccolo investitore tedesco beffato sui suoi bond greci mentre il suo Governo finanzia la Grecia?

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