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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2012 alle ore 06:36.

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Una follia è fare più volte la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi. La determinazione della Germania a imporre una camicia di forza finanziaria ai suoi partner non funzionò ai tempi del "Patto di crescita e stabilità". Potrà funzionare con il "Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance", su cui è stato raggiunto un accordo la settimana scorsa? Ne dubito. Il trattato è il prodotto di una convinzione che la crisi sia stata causata dalla mancanza di disciplina di bilancio, e che la soluzione potrà venire da una maggiore disciplina. Ma la disciplina di bilancio non è tutta la verità, neanche lontanamente. E l'applicazione rigorosa di un'idea così infondata è pericolosa. Questi timori ora sembrano lontani. Le operazioni di rifinanziamento a lungo termine della Banca centrale europea hanno allentato la pressione sulle banche e sui mercati finanziari, compresi i mercati dei titoli di Stato.


Nelle due tranche di questa operazione, le banche hanno preso in prestito più di mille miliardi di euro per tre anni a un tasso dell'1% soltanto. I rendimenti dei titoli di Stato decennali italiani e spagnoli sono scesi sotto al 5%, contro un livello massimo del 7,3% per l'Italia e del 6,7% per la Spagna, alla fine dell'anno scorso. Altrettanto pronunciato è stato il calo dei Cds sui titoli bancari: lo spread di Intesa Sanpaolo è sceso dai 623 punti base di novembre ai 321 di questa settimana.
Ma la crisi non è passata. Chi più chi meno, i Paesi vulnerabili restano in difficoltà. Questi piani di risanamento hanno salvato l'Eurozona dalle sue crisi a catena? Riusciranno a tirare fuori da queste crisi i Paesi colpiti? La risposta è no, a entrambe le domande.
La nuova regola di fondo è che il disavanzo di bilancio strutturale di uno Stato membro non deve eccedere lo 0,5% del prodotto interno lordo: di fatto, questo costringerebbe i Paesi ad avere un bilancio strutturale in attivo. Inoltre, se un Paese ha un debito superiore al 60% del Pil, l'eccedenza dovrà essere eliminata al ritmo medio di un ventesimo dell'eccedenza ogni anno: un Paese come l'Italia, con un debito intorno al 120% del Pil, dovrebbe ridurre questo rapporto di un 3% del Pil ogni anno. Questo è lo schema a cui tutti i membri dell'euro dovranno aderire e queste regole dovranno avere forza di legge, meglio se scritte nella Costituzione.
È un trattato che solleva profondi interrogativi, sul piano giuridico, politico ed economico. Da un punto di vista economico è logico prendere come riferimento non il disavanzo effettivo, ma il disavanzo corretto in base alla congiuntura. Ma quello che per la scienza economica è un miglioramento comporta una minor precisione: nessuno sa che cos'è un disavanzo strutturale. Non si tratta di sofismi: prendiamo i saldi strutturali per il 2007 (l'ultimo anno - per la gran parte - prima della crisi) calcolati dal Fondo monetario internazionale nell'ottobre di quell'anno (in "tempo reale", per così dire). L'indicatore avrebbe dovuto urlare "crisi": eppure la Spagna registrava un forte avanzo strutturale e l'Irlanda era in pareggio; sia Madrid che Dublino erano in condizioni migliori della Germania. La Grecia aveva un disavanzo strutturale importante, ma il Portogallo aveva un disavanzo più basso di quello della Francia. La regola non avrebbe fatto distinzioni tra Paesi vulnerabili e Paesi immuni perché non tiene conto di bolle speculative e manie finanziarie.

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