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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2012 alle ore 14:15.

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FUKUSHIMA - Alle 6.46 ora italiana (le 14.46 ora locale) di domenica 11 marzo 2012 tutto il Giappone si ferma. Bandiere a mezz'asta negli edifici pubblici e nelle sedi aziendali, silenzio e raccoglimento per commemorare il primo anniversario del terremoto magnitudo 9 dell'anno scorso, che qualche decina di minuti più tardi provocò il gigantesco tsunami su centinaia di chilometri della costa settentrionale del Paese affacciata sul Pacifico, a sua volta responsabile non solo di circa 19 mila morti e dispersi ma anche della peggiore crisi nucleare dai tempi di Chernobyl.

A Tokyo l'Imperatore Akihito - reduce da una delicata operazione cardiaca - presenzierà (sia pure la metà dei 40 minuti originariamente previsti) - alla cerimonia ufficiale che si tiene al Teatro Nazionale, alla quale interverrà il primo ministro Yoshihiko Noda. Varie linee ferroviarie sospenderanno temporaneamente il servizio, mentre dal parco di Hibiya si leverà un appello sottoscritto da 311 personalità contro il nucleare in Asia e una catena umana circonderà il parlamento. Se altrove le luci saranno spente, sarà invece illuminato in via eccezionale il nuovo simbolo di Tokyo: la torre televisiva Sky Tree alta 634 metri, che a breve aprirà al pubblico come belvedere sul Monte Fuji. Già oggi ha accesso le sue luci, per un'altra tragica commemorazione: quello dei raid aerei del 10 marzo 1945 che con le bombe incendiarie distrussero gran parte della capitale, nel quadro della strategia "terroristica" decisa da Washington per piegare il Sol Levante.

Nella città di Fukushima sarà il governatore Yuhei Sato a guidare il principale dei sette eventi commemorativi organizzati nell'area, con l'intento non solo di ricordare il dolore ma di esprimere l'impegno a creare "la rinascita di Fukushima". Una operazione che oggi appare ancora vicina a una mission impossibile. Non che la città sia distrutta (non lo è stata) né forzatamente spopolata (come lo è da un anno un'area di 20 km intorno alla centrale, con propaggini anche più distanti come la cittadina di Iitate). Il capoluogo della provincia (60 km dalla centrale), però, ha perso una parte della popolazione, pur acquistandone altra per l'accoglienza dei profughi dell'area proibita ospitati in strutture temporanee. Secondo Greenpeace la città non è un luogo sicuro, specialmente in alcune aree ed in particolare nel quartiere di Watari.

«Qui ci sono hot spots radioattivi che pongono una seria minaccia, sottovalutata dal Governo, alla salute della popolazione», afferma Jan Vande Putte, esperto di radiazioni di Greenpeace: le rilevazioni autonome effettuate dall'organizzazione ambientalista hanno segnalato livelli da 70 microsievert l'ora in un parcheggio davanti alla stazione ferroviaria, fino a mille volte superiori alla normalità pre-marzo 2011. A suo parere il governo dovrebbe dare un supporto completo alle persone di Watari che desiderano trasferirsi altrove, anziché costringerli ad aspettare un miglioramento delle condizioni attraverso la decontaminazione dell'area. Alla Prefettura, preferiscono troncare e sopire, diffondendo il piano in 12 punti già approvato nei mesi scorsi per la "rivitalizzazione di Fukushima": un elenco di priorità e buone intenzioni che non si può non condividere ma che appare soprattutto come "wishful thinking" con tratti di ingenuità.

Uno dei punti riguarda ad esempio la promozione del turismo: difficile al momento pensare a un successo di marketing in questo senso, specie sul piano internazionale. Sarebbe stato meglio che la centrale maledetta, 60 km più in là, fosse stata chiamata con un nome diverso da quello di Fukushima Daiichi: se il processo di decommissionamento è destinato a durare quattro lunghi decenni, lo "stigma" del nome Fukushima continuerà ad agire in modo scoraggiante. Lo dimostra anche la riluttanza di molte province ad accettare detriti provenienti dall'intera regione del Tohoku, e men che meno da quella che ospita la centrale. Dal Parlamento è in arrivo una legge speciale per la provincia e non manca la retorica sulla rivitalizzazione di Fuikushima come condizioni per il rilancio dell'intero Paese.

Un Paese dove, grazie all'incidente della centrale, sta per avverarsi il sogno degli antinuclearisti: lo spegnimento di tutti i 54 reattori atomici del Paese. Quelli entrati in manutenzione ordinaria o spenti per precauzione non hanno ripreso a funzionare, Ne resta in funzione solo uno nel remoto Hokkaido e, se il governo non riuscirà nei suoi sforzi di riattivare un paio di reattori a breve termine (per cui occorre anche il consenso a livello locale), tra qualche settimana tutte le centrali saranno ferme. Prima di Fukushima, il piano ufficiale era quello di portare da quasi il 30 al 50% la quota di energia prodotta con l'atomo sul totale del fabbisogno nazionale entro il 2030.

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