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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2012 alle ore 08:12.

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FUKUSHIMA. Dal nostro inviato
«Rivitalizzare Fukushima come condizione per rivitalizzare il Giappone»: alla prefettura della città-capoluogo della provincia che ospita la centrale nucleare della paura, viene anticipato così il messaggio che il governatore Yuhei Sato lancerà oggi nel corso della cerimonia locale per il primo anniversario dello tsunami.
Alle 14.46 (le 6.46 ora italiana) il Giappone si ferma per un momento di silenzio triste, che però sarà seguito da incitamenti ufficiali alla riscossa (oltre che da manifestazioni di piazza). Li guiderà il premier Yoshihiko Noda, che al Teatro Nazionale di Tokyo affiancherà l'imperatore Akihito (ancora convalescente da una delicata operazione cardiaca), dopo aver affidato alle colonne online del Washington Post la notifica al mondo dell'impegno forse un po' troppo enfatico a costruire un «nuovo Giappone» determinato a raccogliere «una sfida storica».
Messa nei termini del governatore Sato, però, la sfida è di quelle che appaiono ai limiti del possibile. La sua città e la sua provincia, loro malgrado, rischiano di drenare risorse senza evitare di fare da freno alle prospettive di rilancio del Paese. L'area evacuata di 20 chilometri intorno alla centrale, con propaggini fino a 30-40 a Nord-ovest, è ancora terra di nessuno: i confini saranno spostati un po' a macchia di leopardo, ma il ritorno di una piccola parte delle decine di migliaia di sfollati non cambierà lo stato comatoso di quei territori. La città-capoluogo ha perso l'atmosfera spettrale di un anno fa e dà qualche segnale di risveglio, ma i piani ufficiali di "rivitalizzazione" in 12 punti appaiono ingenui o fumosi, se non altro perché lo stigma del nome Fukushima non accenna a scolorirsi in una situazione che resta controversa.
I "guastafeste" di Greenpeace segnalano ai giornalisti che, dai loro monitoraggi, i livelli di contaminazione radioattiva permangono alti in alcuni punti della città, in particolare nel sobborgo di Watari. «Chi voglia andarsene da qui dovrebbe avere piena assistenza e invece niente - tuona Kazue Suzuki, dirigente del'organizzazione ambientalista -. E sarebbe ora che venisse lanciato un piano nazionale di decontaminazione». Anche i funzionari della Croce Rossa giustificano le apprensioni di una parte della popolazione locale, mentre a Tokyo abbondano le casalinghe che comprano verdura accertandosi che provenga dal Sud o dall'Ovest. Così il bilancio di un anno si chiude nel più profondo rosso per la provincia sinonimo della catastrofe, mentre per il capoluogo del Tohoku, Sendai (provincia di Miyagi) molti parlano già di "boomtown": difficoltà a trovare manodopera per la ricostruzione, intasamenti di traffico e primi investimenti di operatori esteri (l'Ikea apre un grande centro commerciale, Amazon vi istituisce il suo call center), mentre l'interesse degli operatori economici per il delinearsi di future zone economiche speciali (deregulation e tassazione favorevole) si concentra proprio sulla provincia di Miyagi.
Grazie alla crisi venuta da Fukushima, è sul punto di avverarsi - almeno temporaneamente - il sogno di persone come il premio Nobel Kenzaburo Oe - oggi tra la folla nello stadio di baseball della vicina Koriyama - o delle 317 personalità che dal parco di Hibiya a Tokyo lanceranno un appello anti-nucleare: a breve non ci sarà energia prodotta in Giappone da centrali atomiche. Solo due reattori funzionano – su 54 – ma anch'essi andranno presto in manutenzione. Il Governo sta cercando di far sì che un paio di altri reattori vengano riattivati a breve: vuole evitare che il Giappone sia "nuclear free" in estate, quando sarà annunciato il nuovo piano energetico nazionale, che sostituirà quello che contemplava l'aumento della quota di energia dall'atomo dal 30 al 50% in vent'anni. Un piano che assegnerà comunque un ruolo, sia pure molto ridimensionato, al nucleare, evidenziando una rinnovata volontà di leadership nelle energie alternative. Occorrerà il consenso delle comunità locali per la riapertura delle centrali, cosa tutt'altro che scontata specialmente dopo che, proprio a ridosso dell'anniversario, è emersa una pioggia di rivelazioni su reticenze, incertezze e incompetenze nella gestione della fase acuta della crisi. In estate, inoltre, si crea un picco di domanda che l'anno scorso è stato gestito a fatica tramite riduzioni obbligatorie dei consumi, sensibilizzazione di massa sul risparmio energetico e soluzioni creative (come fabbriche aperte nel weekend).
«Quest'anno sarà ancora più dura», afferma Shigeru Suehiro dell'Institute of Energy Economics, sottolineando i rischi di blackout e, più in generale, di riduzioni produttive e conseguente accelerazione delle delocalizzazioni manifatturiere all'estero. Al Meti fanno circolare stime secondo cui la bolletta energetica da import aumenterà di 30 miliardi di dollari, il che rischia di rendere stabile il deficit commerciale spuntato per la prima volta da 31 anni. Tutte le utility sono finite in rosso per l'aumentato ricorso a fonti convenzionali e la Tepco (il gestore di Fukushima Daiichi) ha causato una mezza rivolta delle imprese annunciando un rincaro del 17% delle tariffe. La stessa Tepco sta per essere salvata con un'iniezione di capitale da mille miliardi di yen: una nazionalizzazione osteggiata da varie lobby e anche dal ministero delle Finanze, che teme di esporre le casse pubbliche a oneri maggiori di ogni previsione.
Un anno dopo, infine, è difficile ignorare gli effetti negativi a largo raggio - difficilmente quantificabili - del fattore-paura, ossia di una crisi nucleare che per la prima volta dal dopoguerra ha visto il Giappone, da attore buono sulla scena internazionale, passare al ruolo di esportatore di ansietà e pericoli. «La paura della contaminazione nucleare ha messo in crisi la strategia del Governo relativa ai piani per spronare l'economia su sentieri ad alta crescita, che dovrà essere rivista - dice Takahide Kiuchi, capo economista di Nomura, riferendosi a direttrici come l'export di agricoltura di qualità, l'attrazione di investimenti stranieri, il turismo, fino all'abbassamento della corporate tax per cui ora non c'è più spazio almeno per qualche anno. Per il turismo, però, i numeri sono tornati confortanti, soprattutto grazie agli arrivi dalla Cina. Un'ultima conferma della maggiore dipendenza dell'economia nipponica dalla crescita cinese.

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