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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2012 alle ore 07:47.

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ROMA. Troppi costi e troppa burocrazia sulla flessibilità in entrata. È la principale critica che arriva dal mondo delle imprese alla riforma sul mercato del lavoro. Pesa quell'1,4% in più di aliquota contributiva sui contratti a tempo determinato, un aumento che può essere recuperato per un massimo di sei mesi se il lavoratore viene assunto.

Non piace a Confindustria, ma anche alle altre organizzazioni imprenditoriali, il fatto che il governo abbia messo un tetto a 36 mesi sommando le varie forme di flessibilità in entrata, dal contratto a tempo determinato, alla somministrazione, alle altre tipologie eventualmente usate.

Lo ha detto la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, martedì sera, nella conferenza stampa dopo l'incontro a Palazzo Chigi, su questi punti hanno lavorato i tecnici delle imprese e del ministro, in vista dell'appuntamento di oggi al ministero del Welfare.
In particolare sul contratto a tempo determinato viene irrigidita la disciplina per il rinnovo, aumentando l'intervallo temporale tra la scadenza di un contratto e quello successivo, oltre ad allungare i tempi di impugnazione stragiudiziale del contratto. Anche sul contratto di lavoro a tempo parziale vengono prese misure per scoraggiare gli abusi nell'uso di questo strumento. Complessivamente c'è una stretta. E il timore delle imprese è che questo penalizzi l'occupazione o che possa aumentare il lavoro in nero.

Si vedrà oggi quali potranno essere gli aggiustamenti al testo, fermo restando che poi la riforma dovrà andare in Parlamento.
Ma c'è anche un altro punto su cui Confindustria insiste per avere modifiche: il tetto massimo di 27 mesi all'indennizzo in caso di licenziamento. Una misura troppo elevata per le imprese. Più alta anche rispetto ai paragoni europei. In Germania, per esempio, che è uno dei paesi ad avere l'indennizzo più alto, il tetto massimo è di 18 mesi. Bene comunque l'impianto sull'articolo 18: il reintegro vale solo per i licenziamenti discriminatori o nulli, per i licenziamenti con motivazione economica c'è l'indennizzo, che resta la soluzione principale anche per i licenziamenti disciplinari, tranne prevedere il reintegro quando il fatto non sussiste o in precise casistiche indicate dai contratti.
La riforma è stata discussa ieri nel direttivo di Confindustria, illustrata dalla presidente Marcegaglia, che comunque ha dato il suo assenso alla riforma per quel «senso di responsabilità» richiesto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Le stesse riserve sulla flessibilità in entrata sono state sollevate anche dalla Alleanza per le coop e dalla Confcommercio. «Bisogna evitare che si ingessino con nuova burocrazia e rigidità istituti di flessibilità efficaci, indispensabili e già ampiamente regolati dai contratti collettivi», ha detto il direttore generale di Confcommercio, Francesco Rivolta. «In una fase di recessione piena - ha aggiunto - ciò ricadrebbe negativamente sulle imprese che operano nel rispetto della legge e dei contratti». Secondo la Confcommercio le mobilitazioni e gli scioperi annunciati dalla Cgil «non favoriscono il dialogo e riducono gli spazi di mediazione».

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