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Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2012 alle ore 14:43.

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HATAY - La guerra civile è qui, a duecento metri dal filo spinato che divide la Turchia dalla Siria dove le tende bianche del campo profughi di Reyhanli sono la prima testa di ponte del Free Syrian Army. Sotto gli occhi dei turchi i guerriglieri sgusciano tra i frutteti cosparsi di mine anti-uomo interrate a pochi metri dal confine. I siriani di Bashar Assad sono invisibili ma di tanto in tanto rimbalza l'eco dell'artiglieria della Guardia Repubblicana.

Al vertice di Istanbul degli "Amici della Siria", con la partecipazione del segretario di Stato Hillary Clinton, il Consiglio nazionale dell'opposizione (Cns), un fronte eterogeneo e instabile, oggi verrà con ogni probabilità dichiarato "l'unico rappresentante legittimo del popolo siriano": ma chi sono i combattenti e quali le loro speranze? Sopra le teste dei rifugiati (18mila solo in Turchia) e dei mujaheddin si sta giocando una partita di cui saranno ancora - e già lo sono - le prime vittime.

Assad, dopo avere accettato il piano Onu di Kofi Annan, sostenuto da Russia e Cina, può prendere altro tempo e restare in sella: per il regime la rivolta è finita.
Ahmed Alawi, 27 anni, era un torturatore, poi ha disertato arruolandosi nel Free Syrian Army e sabato scorso 24 marzo ha visto morire due giornalisti uccisi dalle pallottole dell'esercito di Damasco, Walid Blidi e Nassim Terreri, algerini con passaporto britannico. La sua è la prima testimonianza di un evento dai contorni oscuri anche per il Foreign Office.
"Per cinque anni ho servito nei corpi speciali, quindi mi hanno mandato a Daraa, dove nel marzo scorso è iniziata la rivolta: infilavamo la gente legata nei pneumatici per impedirgli di contorcersi e la picchiavamo con cavi di metallo, fino alla morte. Eseguivo gli ordini: ci facevano credere che erano tutti terroristi".

Un giorno del maggio scorso Ahmed si è mescolato alla folla che protestava ed è fuggito dal confine di Guveccci. "Con i due giornalisti abbiamo passato la frontiera: le guardie turche di solito ci facilitano le cose con l'unica avvertenza di non portare indietro le armi. In direzione di Jish Shogur siamo incappati in una pattuglia, ed è iniziato lo scontro fuoco. Il tutto è durato più di mezz'ora e quando ci siamo di nuovo contati, eravamo una decina, i giornalisti non c'erano più. I cadaveri li abbiamo trovati nella boscaglia e seppellitti in una buca sul confine". Ma i loro corpi, secondo un'altra versione, sarebbero in mano ai soldati siriani.

Ahmed parla soltanto arabo, come araba è la maggior parte della popolazione di Hatay, l'antico Sangiaccato di Alessandretta, un calderone popolato un tempo dagli armeni del Mussa Dag, che si opposero allo sterminio dei turchi, da cristiani e alauiti, gli eretici dell'Islam. A Yayladagi un drappo rosso penzolante sul campo profughi ricorda: "Siamo tutti figli del Saladino", l'unico curdo che fece davvero fortuna e regnò su Damasco. I curdi siriani, per esempio, hanno abbandonato il Cns, insoddisfatti perché nessuno vuole garantirne l'autonomia se cadesse il regime.

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