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Questo articolo è stato pubblicato il 02 aprile 2012 alle ore 12:22.
L'ultima modifica è del 02 aprile 2012 alle ore 18:42.

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Cardinale Carlo Caffarra dell'Arcidiocesi di Bologna (Ansa)Cardinale Carlo Caffarra dell'Arcidiocesi di Bologna (Ansa)

È ancora in corso il primo consiglio d'amministrazione ufficiale della storia ecclesiastica che vede la Curia seduta al tavolo di una multinazionale. I cancelli, automatici, di Faac l'azienda da giovedì scorso in mano alla Chiesa di Bologna grazie al lascito testamentario di Michelangelo Manini, figlio del fondatore dell'azienda, si sono aperti alle 14 per l'incontro tra i soci di minoranza francesi di Somfy e i rappresentanti dell'arcidiocesi del capoluogo emiliano.

Nessuna indicazione precisa circa i contenuti della riunione tra rappresentanti del potere temporale e potere spirituale è ancora trapelata, ma nelle prime ore di questa mattina il legale rappresentante della Curia bolognese, Andrea Moschetti, nominato come suo rappresentante nel cda di Faac, aveva dichiarato: «Non venderemo la nostra quota societaria ai soci francesi, questo è sicuro. Proseguiremo il lavoro fatto fin qui dal nostro benefattore nell'interesse di Faac e dei lavoratori».

Caso curioso e senza precedenti analoghi a memoria ecclesiastica, quello che si è verificato a Bologna: mai prima di giovedì scorso, quando il testamento del proprietario di Faac, la Chiesa aveva ereditato una multinazionale, magari qualche piccola struttura, ma niente del genere. «Con monsignor Gianluigi Nuvoli, economo dell'arcidiocesi, abbiamo verificato se ci fossero stati in passato lasciti di questa portata. Ma a tutti gli effetti non ne risultano».

Non che la Curia sia priva di dimestichezza con i cda: siede già in quelli di alcune case di cura, ospizi e fondazioni, ma un suo legale rappresentante non si era mai seduto al tavolo di una multinazionale che conta un migliaio di dipendenti, ha sedi in 12 Paesi e ha un bilancio paradisiaco (214milioni di euro nell'a.d. e della crisi 2011).
«Vogliamo innanzitutto rassicurare i lavoratori - riprende Moschetti - non abbiamo intenzione di cedere il nostro 66% di azienda: né ai soci francesi di Somfy, né a nessun altro. Anzi ritengo che, vista la natura del nuovo proprietario, l'intento futuro sarà quello di creare un'azienda retta da un forte codice etico». A cavallo tra diritto canonico e civile in via Altabella, sede della Curia bolognese, si sono già rimboccati le maniche e messi al lavoro. Il primo cda informale al quale ha partecipato Moschetti si è tenuto venerdì scorso. Facce attonite dall'altra parte del tavolo: nessuno si aspettava che Manini lasciasse tutto alla Chiesa. Ripresisi dalla "botta", comunque i membri del Consigli si sono dati appuntamento per oggi alle 14 per una seduta ufficiale, cui dovrebbe seguire alle 18 un incontro in via Altabella tra i rappresentanti di Somfy e monsignor Carlo Cafarra, reggente dell'arcidiocesi bolognese. Tutto a porte chiuse, ovviamente. Del resto in questa storia ogni dettaglio è velato da una riservatezza quasi claustrale: a partire dalla vita di Michelangelo Manini. Uomo, ricco, volendo anche potente, l'erede del fondatore di Faac (che nacque nel 1965 grazie all'intuizione di Giuseppe Manini, padre di Michelangelo, di applicre i pèrincipi dell'oleodinamica ai cancelli) era uomo di poca vita sociale e molta, moltissima dedizione al lavoro. Prima di scoprirsene beneficiati dalle volontà testamentarie, datate 1992, in Curia non ne avevano mai sentito parlare: «anche se - riprende Moschetti - abbiamo scoperto che in realtà aveva sempre fatto beneficenza, ma in forma anonima». Mai, sposato, senza figli e parenti vicini, Michelangelo Manini, secondo quanto riportato nel blog di un suo stretto collaboratore che ne traccia un piccolo ritratto, era persona riservata sì, ma anche cordiale che amava Faac sopra ogni altra cosa: «Il primo ad arrivare in azienda e l'ultimo ad andarsene», scrive.

La vita di quest'uomo lontano dal piccolo jet set dei bolognesi che contano è finita così come è stata condotta: in silenzio e lontano dalle luci provinciali del capoluogo emiliano che ora ne scopre l'esistenza e solo perché nelle sue ultime volontà c'è una scelta, ponderata, ma clamorosa. Un coup de téatre che Manini aveva meditato e che sapeva essere intangibile: «Al momento non risultano esistere eredi legittimari, ossia persone che a norma di legge abbiano diritto all'eredità». Un testamento blindato, quello del Signore dei cancelli, che ha fatto della Chiesa di Bologna la prima Chiesa multinazionale del globo.

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