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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2012 alle ore 06:41.

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NEW YORK. Dal nostro corrispondente
La corsa di Rick Santorum per la Casa Bianca è arrivata anzitempo al termine. Da ieri, in una giornata densa di colpi di scena politici, con l'annuncio pervaso da grande emozione del ritiro di Santorum («la mia corsa di ferma qui») abbiamo avuto simultaneamente l'incoronazione informale di Mitt Romney contro Barack Obama e abbiamo visto decollare subito, in tempo reale, in una campagna che si preannuncia durissima, lo scontro diretto per la presidenza americana del 2012.
Barack Obama si trovava già in Florida per fare campagna nazionale in uno Stato chiave, proprio quando le reti televisive hanno trasmesso prima il discorso di addio di Santorum, poi le immagini di Romney che chiedeva l'unificazione del partito. Infine è rispuntato Obama in una diretta da Boca Raton dove ha pronunciato un grande discorso sulla "Buffett Rule", sull'equità fiscale.
Televisioni e commentatori a questo punto hanno cominciato a discutere del post-primarie, delle prospettive dell'uno e dell'altro, degli umori del Paese e dell'economia. Troppo presto, visto che oggi nessuno può dire come andrà a finire questa corsa presidenziale che durerà ben otto mesi, cambierà marce più volte, avrà momenti focali nelle due Convention e che secondo un conteggio della Cnn vede Obama in vantaggio su Romeny con soli 266 voti elettorali contro 262. Per vincere ce ne vorranno 270.
Ci sarà tempo per capire strategie, contare munizioni, soprattutto finanziarie, dei candidati. E per saggiare l'umore degli Stati chiave, gli "swing", su cui si deciderà alla fine la campagna elettorale. Sono pochissimi, fra questi Ohio, Michigan, Virginia, Florida.
Oggi è invece giusto rendere l'onore delle armi a Rick Santorum, il candidato cattolico, l'unico in grado di movimentare con vera passione questa corsa elettorale che sembrava annunciata fin dall'inizio, di portare l'emozione del dibattito e della sorpresa, di strappare 11 Stati, a partire dall'Iowa, il primo, diventando subito una spina nel fianco di Romney.
Il sogno di Santorum di cambiare il volto dell'America si è infranto la domenica di Pasqua sul tavolo della cucina di casa, quando, parlando con la famiglia riunita, la ragione ha prevalso sulla passione. «Abbiamo avuto una Pasqua difficile - ha raccontato il candidato repubblicano - la nostra bambina Bella è stata molto malata. Ora sta meglio. È stato un momento di discussione familiare, proprio come lo fu quando decidemmo di entrare in questa campagna elettorale» ha raccontato davanti ai suoi sostenitori. Poi ha aggiunto: «Seduti al tavolo della cucina abbiamo deciso di imbarcarci in questa corsa elettorale contro ogni probabilità e durante il fine settimana, attorno al tavolo della cucina, abbiamo deciso di chiudere la corsa e di sospendere la campagna. Ma non sospenderemo la nostra lotta per il futuro del Paese».
La questione della sospensione è una formalità: la campagna resterà attiva solo per chiudere i conti e per continuare a raccogliere dove possibile fondi per pagare i debiti. Romney e Santorum si sono sentiti al telefono: l'ex senatore della Pennsylvania ha promesso di combattere per la sconfitta di Barack Obama. Ma nel suo discorso non ha mai menzionato il nome di Romney. Sappiamo che la campagna del vincitore insiste per un «endorsment», ma Santorum ha chiesto un incontro a quattr'occhi prima di concedere la sua approvazione e i suoi delegati che uniranno il partito.
L'uscita di Santorum è stata molto elegante e astuta. Non c'è dubbio che la malattia della figlia Bella, tre anni, che soffre di una grave malattia genetica, ha consentito al candidato della destra relgiosa e dei conservatori di riflettere sulle motivazioni di continuare una battaglia di fatto già persa un paio di settimane fa. L'endorsment recente di Romney da parte di Paul Ryan, capo della maggioranza alla Camera e di Marco Rubio, senatore della Florida, due bandiere del conservatorismo americano, hanno improvvisamente isolato Santorum dalla sua base. Santorum ha fatto il suo dovere. Esce a testa alta, con l'integrità intatta. E con in tasca una cambiale per il 2016. Lo stesso non si potrà dire di Newt Gingrich e di Ron Paul, che hanno annunciato di voler andare avanti.
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