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Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2012 alle ore 16:30.
L'ultima modifica è del 24 aprile 2012 alle ore 14:28.

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Marcello Dell'Utri ha svolto una «attività di mediazione»: vi è stato «un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell'Utri». Più in particolare, in «posizione di vittima», l'ex premier Silvio Berlusconi, all'epoca «imprenditore» - sottolinea la Cassazione nella sentenza 15727, depositata oggi, lunga 146 pagine - pagò «cospicue somme» in favore di Cosa Nostra in cambio «dell'accordo protettivo» contro il rischio di sequestri ai danni suoi e dei suoi familiari. Lo sottolinea la Suprema corte (quinta sezione penale) nelle motivazioni della sentenza con la quale è stata annullata con rinvio, il 9 marzo scorso, la condanna a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa pronunciata dalla Corte d'appello di Palermo il 29 giugno del 2010.

La Suprema corte: Dell'Utri artefice dell'assunzione di Mangano
I giudici della Suprema corte rilevano che l'assunzione ad Arcore di Vittorio Mangano, «indipendentemente dalle ricostruzioni dei cosiddetti pentiti è stata congruamente delineata dai giudici (della Corte d'Appello di Palermo, ndr) come indicativa, senza possibilità di valide alternative» dell'accordo tra l'ex presidente del Consiglio e Cosa Nostra. I giudici ribadiscono che Marcello Dell'Utri «di quella assunzione è stato l'artefice».

Tramite del senatore per un accordo tra l'ex premier e Cosa Nostra
Non ci sono dubbi, scrive ancora la Cassazione nelle motivazioni della sentenza, circa la configurabilità del reato di concorso esterno in associazione mafiosa per il senatore Dell'Utri, ma tale reato non è stato ancora provato per gli anni che vanno dal 1978 al 1982, quando Dell'Utri, che fino ad allora aveva lavorato per Silvio Berlusconi, passò alle dipendenze dell'imprenditore Filippo Rapisarda. La Cassazione afferma che non è importante la circostanza che le somme pagate da Berlusconi non siano state indicate con precisione in quanto il pentito Di Carlo le quantifica in 100 milioni di lire, mentre il pentito Galliano parla di un regalo di 50 milioni fatto dall'imprenditore, e il pentito Cucuzza parla di versamenti di 50 milioni l'anno. Quel che è «rimasto invariato e ripetuto», sottolinea la Suprema corte, è «il tema della ricerca e del raggiungimento di un accordo tra Berlusconi e Cosa Nostra per il tramite di Cinà e di Dell'Utri». Accordo - prosegue la Cassazione - «volto a realizzare una proficua e reciproca collaborazione di intenti».

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