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Questo articolo è stato pubblicato il 09 maggio 2012 alle ore 16:26.

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Se fosse stato un film, molti l'avrebbero trovato "un'americanata". Invece è accaduto davvero, e resterà uno dei successi più eclatanti della Cia: il kamikaze che avrebbe dovuto farsi esplodere su un aereo il 2 maggio (anniversario della morte di Osama bin Laden) era in realtà uno 007 che lavorava per i servizi di intelligence sauditi e americani.

Dunque nessun attentato sventato, ma un falso uomo-bomba che si era infiltrato tra i terroristi di al-Qaida nello Yemen, si era offerto per il martirio e, ricevuto l'esplosivo, è andato negli Emirati Arabi Uniti per consegnarlo ai colleghi americani. I quali, grazie alle sue informazioni, hanno ucciso con un drone uno dei leader di al-Qaida nello Yemen, Fahd Al Quso, sulla cui testa pendeva una taglia da 5 milioni di dollari.

Una spy story con tutti gli ingredienti giusti, su cui già infuriano le polemiche, perché c'è anche chi è contrario alla diffusione dei dettagli di operazioni così delicate. Il protagonista è ora al sicuro in Arabia Saudita. La bomba che i terroristi gli avevano affidato per far sprofondare di nuovo l'America e il mondo nella paura aveva due detonatori "non metallici" e sarebbe quindi sfuggita al metal detector.

Esattamente come era successo il giorno di Natale del 2009 al nigeriano Omar Farouk Abdulmutallab, salito ad Amsterdam su un aereo diretto a Detroit con 290 passeggeri a bordo: la strage fu evitata per un soffio grazie alla prontezza di un passeggero che bloccò il kamikaze e la bomba nascosta nelle mutande. Questa volta sembra che l'ordigno, analizzato nei laboratori dell'Fbi di Quantico, in Virginia, fosse ancora più sofisticato.

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