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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2012 alle ore 08:11.

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BRINDISI. Dal nostro inviato
È la storia di due studentesse saltate in aria come manichini, tre ragazze che viaggiavano da Mesagne a Brindisi, quello delle 7.10 soprannominato delle secchione: chi lo prende preferisce aspettare trenta minuti davanti al chiosco verde il "panino del desiderio" piuttosto che varcare il cancello dell'Istituto professionale Morvillo-Falcone un minuto dopo il suono della campanella. Melissa Bassi, 15 anni, e poi Vanessa e Veronica Capodieci, due sorelle di 18 e 16 anni scendono per prime dal pullman. È una mattina come milioni di altre: l'aria frizzante di una primavera capricciosa, il cielo colore del mare e i filari vaporosi di pini marittimi che difendono la Morvillo-Falcone da una strada a scorrimento veloce. La scuola ha tetti spioventi appoggiati su tre costruzioni allineate: le due ai lati più basse, quella centrale che troneggia possente con un tetto color ruggine. È una scuola solida, quasi un bunker, un luogo che ispira sicurezza.
La porta del pullman si sposta emettendo un soffio simile a quello di un cetaceo. Melissa fa in tempo a scendere e a muovere uno, forse due passi. Dietro di lei c'è Veronica, che involontariamente fa da scudo alla sorella maggiore. Tre esplosioni in rapida successione che squarciano l'aria, la prima meno intensa, le altre due assordanti. Melissa e Veronica vengono proiettate ad almeno una decina di metri di distanza. Vanessa ritroverà la sorella più piccola qualche minuto dopo e a braccia la tirerà in un angolino più riparato, tamponandole le ferite che le hanno aperto lo stomaco e parte del torace. Riesce a trovare la forza di telefonare a mamma Lorena, una casalinga religiosissima che qualche giorno fa aveva condotto Vanessa per mano da Don Giuseppe, il parroco della chiesa di Mater Domini, che le aveva proposto di lavorare come volontaria in un centro parrocchiale estivo. Vanessa ha la forza di rassicurare sua madre mentre la sorella perde sangue a fiotti: «Vieni subito a Brindisi. Ma stai tranquilla, io e Vanessa stiamo bene». Veronica in queste ore lotta tra la vita e la morte nell'ospedale di Lecce, mentre Vanessa è ricoverata al reparto di chirurgia plastica del Perrino di Brindisi (in tutto sono cinque le ragazze ferite).
A esplodere sono state tre bombole del gas non si capisce ancora se innescate da un timer o da un comando a distanza. Un anno fa a Mesagne, la capitale della Sacra Corona unita, ne era stato trovato uno simile: allora, dicono fonti investigative, si trattata di una sola bombola. Nessuno, in queste ore, è disposto a propendere per la tesi che la strage sarebbe opera della Sacra Corona Unita, una delle quattro mafie che affliggono il Sud Italia. Di Mesagne è Pino Rigoli, il capo indiscusso della sacra Corona Unita, uscito da molti anni dalla scena criminale. E sempre di Mesagne è Massimo Pasimeni, uno dei tre esponenti della troika reggente, che ha imperversato con attentati incendiari ed estorsioni per tutta la provincia nell'anno e mezzo che ha trascorso in libertà tra una detenzione e l'altra. Assicurato di nuovo Pasimeni alle patrie galere, la situazione non si è normalizzata. Prima l'attentato incendiario all'automobile del presidente dell'antiracket di Brindisi, poi, un paio di settimane fa, la retata della Polizia a Mesagne, che ha condotto all'arresto una quindicina di esponenti dell'ultima generazione malavitosa. Gli investigatori non se la sentono di trarre conclusioni affrettate. In Questura prevale la cautela. «Un attentato del genere provoca una reazione pesantissima dello Stato. E nessuna organizzazione criminale è così autolesionista da mettere in moto una spirale che ne può determinare la distruzione», dice un investigatore. Per questo più che pista anarchica o terroristica si valuta l'ipotesi che l'attentato possa essere il gesto nichilista di qualche scheggia impazzita. «Un professionista che è plausibile abbia ricevuto l'avallo da parte della criminalità locale», concludono gli uomini che da ieri lavorano all'indagine.

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