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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2012 alle ore 13:23.

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Cento giorni – un'estate - per salvare l'euro. Con una ricetta unica, obbligata: se i governi europei vogliono fermare una pressione dei mercati che ormai sembra inarrestabile, devono entrare con risolutezza in una «finestra di tre mesi e invertire rapidamente il ciclo» della propria azione politica; tornando a credere loro per primi nella loro moneta unica. Subito al vertice Ue di fine giugno: con misure straordinarie, a cominciare dall'assicurazione europea dei depositi bancari che freni la fuga di capitali. Per riformare i Trattati di Maastricht ci sarà tempo.

George Soros parla al Teatro Sociale di Trento forte di un profilo che rimane unico. Il super-gestore de Quantum Fund che semiaffondò la lira – e sembrò allontanare l'Italia dall'euro – è lo stesso investitore-filantopo che da anni riversa fiumi di dollari sulla sua Ungheria e in altri paesi per ricostituire e realizzare «that wonderful thing», quell'idea di Europa, che ha acceso per decenni l'immaginazione di centinaia di milioni di persone in tutto il Vecchio Continente. «L'Europa è nata come il luogo eccellente della democrazia, dei diritti umani, dello stato di diritto», riconosce il vecchio finanziere davanti al pubblico del Festival dell'Economia. Però al culmine di quello che sembrava essere il percorso dell'integrazione, anche l'Europa è diventata una po' una «bolla».

Sì, dice proprio così, Soros: l'euro è diventato esso stesso una «bubble». Sotto la sua coperta, la locomotiva-Germania è riuscita a realizzare «riforme strutturali» che ne hanno mantenuto la competitività internazionale. Altri, invece «si sono dedicati al consumo o a costruire case», sferza Soros pur senza citare per nome i Paesi periferici. Ma non è stata solo colpa delle cicale mediterranee se l'Eurozona ora è divisa in «creditori e debitori».

Tutte le diverse autorità europee hanno capito tardi e male: e solo quando Soros arriva a questo punto il pubblico comprende un lunghissimo preambolo epistemologico sulle differenze tra le scienze sociali e quelle naturali, sull'obsolescenza di teorie economiche basate su assunti come mercati efficienti, aspettative razionali, capacità dei diversi “regulator” di essere informati e decidere in tempo reale. «Quella dell'Europa non era una crisi bancaria, ma fiscale», scandisce Soros. Tesi che – dopo la violenza iniziale del contagio di Wall Street - forse non convince tutti gli osservatori. Ma nel 2012, pochi possono obiettare che la spirale speculativa che sta strangolando debiti sovrani e bilanci bancari abbia bisogno di prese d'atto veloci e di decisioni conseguenti. E ancora una volta, lascia chiaramente intendere Soros, la risorsa strategica non è la liquidità, ma la fiducia e la credibilità. La fiducia dei governanti in se stessi per generare credibilità nei cittadini e nei mercati. «Bisogna convincere la Germania – il cancelliere Merkel e la Bundesbank – ad esercitare la sua leadership a favore dell'euro. È anche nel suo interesse - taglia corto Soros -: lo dicono i 3mila miliardi di esposizione della Buba».

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