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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2012 alle ore 14:57.

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All'Europa conviene salvare AteneAll'Europa conviene salvare Atene

Gli scaramantici avranno probabilmente visto in quella data scelta per le elezioni greche, cioè il 17 giugno, un nero segno premonitore. Ma anche gli economisti, amanti di altro tipo di numeri, guardano quella data con grande apprensione: se dopo le elezioni Atene uscisse veramente dall'euro, i costi per tutta Europa sarebbero giganteschi. C'è chi li stima, come l'Iif, in mille miliardi di euro. C'è chi, più giustamente, li ritiene inestimabili. Ed è per questo che sia gli scaramantici sia molti economisti sono convinti che le probabilità che la Grecia esca dall'euro siano inferiori alle possibilità che resti nell'euro: perché, a conti fatti, non conviene a nessuno. Questo è il motivo per cui, da quando il ritorno alla dracma è diventata un'eventualità plausibile, i mercati finanziari non hanno registrato crolli proporzionati con l'effettivo rischio. Insomma: tutto sommato, vista la gravità della situazione, hanno tenuto.

Le Borse europee dalle ultime elezioni greche del 3 maggio hanno infatti perso appena il 6,5% (con Milano in calo solo del 4,8%). I rendimenti dei BTp decennali, tra i principali coinvolti in un possibile contagio, sono addirittura scesi – pur tra alti e bassi – dal 5,70% al 5,64%. Sono stati acquistati, insomma. A conti fatti, il crack dell'euro è troppo costoso. Sarebbe molto più "economico" il salvataggio della Grecia: basterebbero 100 o 200 miliardi al massimo, oppure solo 60 come stima Ubs, per risparmiarne mille o più. E nel 2010 ne sarebbero bastati molti meno. Probabile che un salvataggio vero e proprio non accadrà: infatti il mercato scommette su altri interventi. Ma, seppure come provocazione, è interessante guardare i numeri: dimostrano quanto l'Europa sia brava a farsi male da sola.

Il costo del salvataggio
È sbagliato dire che la Grecia, da quando è in crisi, non ha fatto nulla per risanare i conti pubblici. Gli effetti della pesante austerità, che ha portato gli ateniesi in piazza, si vedono sul bilancio. Escludendo la spesa per interessi – calcola la Commissione Ue – il deficit cosiddetto primario dello Stato si attesta al 2,4%: un grande miglioramento rispetto al 10,6% del 2009. Il problema è che Atene paga tassi d'interesse enormi (pari nel 2011 al 6,9% del Pil, anche se in calo nel 2012) e questo porta il deficit complessivo al 9,3% del Pil. Insomma: il problema è il debito, che nel 2012 (stima Rbs) si attesta a 329,7 miliardi. Si tratta del 162% rispetto al Pil. Morale: se il debito venisse ridotto, o ristrutturato, la Grecia risolverebbe una fetta importante dei problemi.

Ecco il nodo: il debito greco ormai è in gran parte nelle mani di Stati e Bce. Gli investitori privati hanno già accettato, obtorto collo, di tagliare del 70% i loro crediti verso la Grecia. Fin tanto che a pagare il conto dovevano essere i privati (risparmiatori inclusi) tutti i leader politici erano d'accordo. Ma oggi, che i più esposti verso la Grecia sono gli Stati e la Bce, nessuno parla più di tagliare il debito.

Calcola Barclays (con stime che si discostano un po' da quelle di Rbs) che gli Stati europei sono esposti direttamente o indirettamente attraverso le loro banche centrali verso la Grecia per 290 miliardi di euro: 52,9 miliardi sono i prestiti bilaterali concessi direttamente dagli Stati, 73 miliardi sono rappresentati dalle garanzie date al fondo salva-Stati Efsf, e il resto è legato all'esposizione della Bce e a quella della Banca centrale greca verso l'eurosistema.

Ebbene: se tutti questi soggetti rinunciassero a 100 miliardi, il debito greco scenderebbe al 110% del Pil nel 2012. Se rinunciassero a 150 miliardi, dimezzando di fatto l'esposizione, il rapporto debito/Pil scenderebbe all'86%: come la Germania. Secondo Ubs, il costo per i contribuenti europei potrebbe essere ancora inferiore per essere sufficiente: basterebbero 60 miliardi di euro. Servirebbero poi altri 50 miliardi per ricapitalizzare le banche, portando il costo a 200 miliardi. Cifra grossa. Ma non proibitiva, per salvare tutta Europa.

Il costo del crack
Se il costo del salvataggio sembra caro, quello dell'uscita dall'euro sarebbe proibitivo. In realtà nessuno può calcolarlo, perché l'effetto contagio potrebbe prendere pieghe imprevedibili. Sono certamente stimabili i costi diretti. Barclays calcola che l'esposizione dei Paesi europei sia, come detto, di 290 miliardi: questi andrebbero, in caso di default greco e di uscita dall'euro, gran parte in fumo. La perdita, calcola la banca inglese, potrebbe essere di 100 miliardi. L'esposizione dell'Eurozona verso il settore privato è inferiore, ma comunque intorno ai 70 miliardi (dei quali 34 in capo alla Francia). Ubs stima costi, per i contribuenti europei, pari a 225 miliardi: quattro volte di più rispetto i costi, secondo la stessa Ubs, di un salvataggio della Grecia. Più alte le stime di SocGén, che calcola i costi diretti a 360 miliardi di euro per gli Stati europei: un salasso pari al 3,8% del Pil.

Ma quello che più spaventa sono i costi indiretti: quelli imprevedibili, dovuti alla fuga di capitali dai Paesi deboli, al crollo delle Borse e all'effetto contagio. Di stime ne esistono tante, ma nessuna può essere considerata veramente attendibile. SocGén prevede per esempio un crollo delle Borse del 50% e una fuga di depositi dalle banche italiane e spagnole tale da creare un gap di finanziamento per questi istituti pari a 200-400 miliardi in Italia e 145-280 miliardi in Spagna. Ma il calcolo più completo l'ha fatto, recentemente, l'Iif: il conto europeo dell'uscita della Grecia dall'euro sarebbe di mille miliardi di euro. La Bce e le banche centrali perderebbero buona parte dei 170 miliardi della loro esposizione, Irlanda e Portogallo necessiterebbero di nuovi aiuti per 380 miliardi totali in cinque anni, Spagna e Italia avrebbero bisogno di 350 miliardi di sostegno, le banche andrebbero ricapitalizzate per 160 miliardi. Cifre ipotizzate. Che non tengono conto dell'eventuale aggravarsi della recessione e di tutte le sue conseguenze. L'esempio di Lehman Brothers, il cui fallimento è alla fine costato ai Governi molto più dell'eventuale salvataggio, non lascia dubbi: aiutare la Grecia sarebbe più conveniente per tutti. Ecco spiegato forse perchè, tra i leader europei, nessuno ci pensa.

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