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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2012 alle ore 06:37.

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BRUXELLES. Dal nostro inviato
Tutto si può dire tranne che Mario Monti non si sia speso al massimo per preparare il negoziato notturno di Bruxelles, "accerchiare" la cancelliera tedesca Angela Merkel e salvare l'Eurozona. Anche buttando sul tavolo in serata la minaccia di un veto «sull'intero pacchetto sulla crescita in assenza di una soluzione che tuteli i paesi virtuosi dallo spread» (seguito subito dal premier spagnolo Rajoy). Alle 9 di mattina il premier italiano era già davanti al Palazzo del Consiglio Europeo per incontrare il presidente Herman Van Rompuy anche se il vertice vero e proprio è iniziato solo alle 15.30. Nel mezzo, tutta una serie di contatti telefonici e incontri bilaterali (Barroso, Hollande, Merkel, Di Rupo, Juncker, Schultz) per sondare il terreno e capire su quali alleanze effettive poteva contare la posizione italiana. Nessun problema sul Quadro finanziario pluriennale (Mff) da rendere sempre più funzionale agli obiettivi di crescita e sviluppo e agli sforzi dei singoli Stati membri. Pochi elementi di criticità anche su crescita, completamento del mercato unico, competività e dibattito interistituzionale. Ma dopo le 21 (Balotelli aveva già segnato la prima rete), durante la cena di lavoro il premier italiano, accompagnato dal ministro degli Affari europei, Enzo Moavero e dal viceministro dell'Economia, Vittorio Grilli, introduceva il "piatto forte" (al centro poco prima di un gruppo di lavoro dell'Eurozona) ossia la stabilità dell'Eurozona e le necessarie correzioni a un sistema che continua a vedere quei Paesi che stanno facendo le riforme penalizzati da tassi di interesse troppo alti per finanziare il loro debito.
È la misura salva-spread che la portavoce di Monti si è affrettata a derubricare rilevando che l'Italia «non ha presentato alcuna proposta strutturata ma posto soltanto un problema reale che riguarda la stabilità dell'Eurozona; per noi è un problema importante – ha aggiunto – e vogliamo che si tenga conto della nostra posizione».
A quel punto la tela politico-diplomatica il premier italiano l'aveva interamente tessuta. Si trattava solo di raccogliere i frutti. Né erano mancate le prime importanti dichiarazioni a sostegno delle posizioni italiane. Segnale che qualcosa, tutto sommato, si era mosso a Bruxelles e nelle principali cancellerie europee. Importanti correzioni di rotta rispetto ai giorni precedenti da parte del presidente del Consiglio Ue Van Rompuy, dal presidente della Commissione Barroso e dallo stesso vicepresidente Olli Rehn secondo il quale le misure a breve termine per la zona euro «non sono più rinviabili». Il presidente francese Francois Hollande giunto al vertice parlava subito della necessità di misure «urgenti e rapide» e anche Martin Schultz, presidente dell'Europarlamento, sposava la linea italiana. Sostegno "interno", ieri su questo fronte, anche dal leader Pdl Silvio Berlusconi. Da ultima anche la delegazione finlandese interveniva proponendo una sorta di "covered bonds" con titoli garantiti dagli asset pubblici del Paese richiedente e, in ultima istanza, dal Fondo Salva Stati. Ma la proposta aveva tutto il sapore di un'azione di disturbo gettata nello stagno per rendere più difficile il negoziato.
Qualcuno tra i negoziatori italiani sospettava perfino che dietro vi fosse qualche "mandante tedesco". Lo staff di Monti bocciava comunque l'idea come «specifica e parziale». Secondo le stesse fonti la proposta «non risponde al problema fondamentale che abbiamo posto, quello della stabilità dell'Eurozona, è insufficiente e può anche avere conseguenze negative».
Monti durante la cena, aiutato anche da Hollande e dal premier spagnolo Mariano Rajoy, che si accoda alla minaccia di veto, cercava però di spiegare che non si tratta di «finanziare altri aiuti» utilizzando le norme che già oggi, dietro richiesta di un singolo Stato membro, consentono al fondo salva-Stati di acquistare titoli sottoponendosi a una sorta di "commissariamento" della Trojka.
Il problema è creare un meccanismo automatico per mantenere gli spread di un certo Paese sotto un livello di guardia (250-300 per l'Italia) rompendo quel circolo vizioso che impedisce a chi sta facendo le riforme di contribuire come vorrebbe alla crescita di tutta la zona Euro. Un problema talmente sentito dall'Italia che Monti ha minacciato di porre una riserva sull'intero accordo finale che riguarda anche il pacchetto sulla crescita e sul bilancio dell'Ue.
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