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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2012 alle ore 08:25.

ROMA - Gianfranco Fini contro Renato Schifani. Il presidente della Camera che definisce «inaudito» il comportamento del suo omologo al Senato. Uno scontro istituzionale senza precedenti che vede coinvolte la seconda e la terza carica dello Stato. In gioco è la composizione del Cda Rai. Fini accusa Schifani di aver voluto truccare il voto della commissione di Vigilanza, consentendo al Pdl di sostituire a urne già aperte il senatore dissidente Paolo Amato che aveva espresso il suo sostegno per un candidato (Flavia Nardelli) non appoggiato dal partito di Silvio Berlusconi.
Il posto di Amato (vicinissimo a Giuseppe Pisanu) è stato infatti assegnato a Pasquale Viespoli, ex finiano tornato alleato del Pdl con il gruppo Coesione nazionale che aveva rivendicato un seggio in Vigilanza. Posto che Schifani ha deciso di assegnargli proprio ieri.
Una coincidenza ritenuta sospetta. Anche perché l'intervento del presidente del Senato è giunto al termine di una mattinata nella quale il Pdl – dopo la dichiarazione a sorpresa di Amato – aveva annunciato le dimissioni del senatore dal gruppo parlamentare e dalla commissione. Dimissioni che invece Amato ha smentito. «Prendiamo atto che ha cambiato idea. Ma le sue dimissioni le aveva annunciate davanti a testimoni», controreplicano Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, capogruppo e vicecapogruppo del Pdl al Senato, i quali accusano il senatore di aver partecipato al «complotto».
L'intervento di Schifani arriva dopo tutto questo. Il presidente del Senato sostiene di aver dato seguito alla richiesta di Coesione Nazionale presentata a maggio. «Schifani ha ravvisato l'urgenza di intervenire solo oggi perché era chiaro che la libertà di voto del senatore Amato avrebbe determinato un esito della votazione non gradito al Pdl? Se così fosse, saremmo in presenza di un fatto senza precedenti e di inaudita gravità politica», scrive in una nota Fini, invitando la seconda carica dello Stato a «chiarire».
Invito che gli era stato già rivolto anche da Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini che hanno definito «incredibile», «lunare» la decisione del presidente del Senato e chiedendo al governo di intervenire anche attraverso il commissariamento della Rai.
Schifani però si difende: «Sono sereno e tranquillo, ho solo fatto rispettare le regole, impedendo che la Commissione di vigilanza compisse atti viziati da illegittimità». Con lui si schiera tutto il Pdl. «Non accettiamo alcuna critica – replica il segretario del partito Angelino Alfano -, a maggior ragione da parte di chi, in pieno esercizio del suo alto ruolo istituzionale, ha fondato un partito». In molti ricordano il caso di Riccardo Villari, che il Pd ripudiò dopo che aveva sostenuto una posizione contraria a quella del partito.
La vicenda ovviamente è seguita anche dal Quirinale. Non ci sono conferme ufficiali ma sia Fini che Schifani hanno preventivamente manifestato al Colle quanto di lì a poco avrebbero espresso pubblicamente. E lo stesso hanno fatto anche i principali esponenti politici e istituzionali coinvolti. Giorgio Napolitano per il momento preferisce tacere. Il Presidente assiste con preoccupazione al braccio di ferro in corso tra i vertici parlamentari, acuito anche dallo stallo sulle riforme istituzionali. Anche il Governo tace. Monti con l'indicazione di Anna Maria Tarantola alla presidenza e Luigi Gubitosi direttore generale aveva ritenuto esaurito il suo compito. Ora però la situazione richia di precipitare e di riacutizzare le tensioni, mai sopite, all'interno della sua maggioranza. Nel Pdl il nervosismo è ai massimi livelli, come dimostra il mancato passaggio alla Camera di Berlusconi per la fiducia a Elsa Fornero.
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