Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2012 alle ore 10:37.

My24

TRIPOLI - Qualunque sia l'esito del voto, Gamal non ha dubbi. «In ogni caso terrò le armi con me. Come del resto i miei amici. E perfino mio padre». Kalashnikov, pistole, granate. Rispetto allo scorso agosto, in giro non se ne vedono, ma una volta entrati in confidenza, non c'è persona a Tripoli che neghi di aver nascosto in casa una delle tante armi distribuite alla popolazione durante la guerra. «Nascoste - continua Gamal, 26 anni ex dipendente di una società di servizi straniera - - ma pronte per esser utilizzate nel caso dovessimo difenderci».

Tripoli è una città sommersa dalle armi. Come del resto tutto il terzo paese più esteso dell'Africa. Le milizie non spadroneggiano più per la capitale, sparando in aria, ma le accese rivalità tra i gruppi - gli zintani, i misuratini, quelli di Bengasi o dei moti quartieri di tripoli - sono tutt'altro che sopite. Conservare le armi, soprattutto quelle pesanti, equivale ad avere un elemento di pressione nella futura ripartizione del potere e, quindi, della ricchezza del paese con le maggiori riserve petrolifere di tutta l'Africa. Ormai anche molti esponenti dei comitati per il disarmo della popolazione sono rassegnati: «Speriamo nel futuro. Quando ci sarà un esercito nazionale e una polizia». Ma, al di là di poche migliaia di soldati della guarda nazionale, esercito e polizia oggi, non esistono ancora. «Se tutti sono armati – conclude Ganal - chi vuole usare la pistola ci pensa non due, ma cinque volte prima di sparare». Una riflessione condivisa da molti.

La Libia a un bivio
È una giornata torrida, 46 gradi, nessuno sembra far caso alle decine di migliaia di volantini disordinati che tappezzano i muri della capitale. Ma è innegabile che chi confida nel voto di domani - una parte consistente conserva un certo disinteresse – ripone un entusiasmo eccessivo. Come se pochi giorni potessero trasformare la vita di sei milioni di libici, decuplicando gli stipendi, facendo sorgere le strade, ferrovie, creando una rete elettrica finalmente efficiente.

Per chi non ha mai votato in tutta una vita, recarsi alle urne è un'esperienza eccitante. Ma organizzare un'elezione in un Paese stritolato per 42 lunghi anni da un regime cruento non è affatto facile. Non solo da un punto di vista logistico. «Per molti libici qui tutto è nuovo: concetti basilari come parlamento, urne, democrazia, sono sconosciuti a molti libici». Spiega Ahmed, un osservatore indipendente. D'altronde l'ultima volta che si è votato per una elezione multipartitica - per quanto non molto trasparente - è stato nel 1952, durante i tempi di re Idriss. Poi, nel 1967, un giovane ufficiale di nome Muammar Gheddafi, rovesciò la monarchia e precipitò il Paese in periodo buio, dove i partiti politici erano vietati e l'opposizione inconcepibile. «Al di là dei concetti tecnici, come Costituzione e Repubblica parlamentare dobbiamo insegnare a molta gente cosa è un'elezione, E mostrare loro come votare – ci spiega il dottor Abdul Salam el Lamir, direttore del centro culturale di tripoli addetto alla formazione per le elezioni. Abbiamo già formato decine di organizzazioni non governative , che a loro volta istruiranno i cittadini nelle località sparse per tutto il paese».

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi