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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2012 alle ore 09:34.

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di Emilia Patta
ROMA - «Con il governo Monti ci siamo caricati la salvezza del Paese, in futuro garantiremo responsabilità ma mantenendo la nostra identità». Pier Luigi Bersani lancerà oggi, dall'assemblea del Pd, lo sprint per il 2013. Ma chi si aspetta l'elencazione dei futuri punti programmatici per un governo di «forze progressiste e moderate» resterà deluso. Oggi il leader del Pd si limiterà a delineare i contorni della cosiddetta "carta d'intenti", che sarà una carta valoriale attorno alla quale costruire nei prossimi mesi il programma dopo aver «ascoltato il Paese».

La continuità con il governo Monti ci sarà per quel che riguarda il rigore dei conti, ma nel futuro programma bersaniano un posto d'onore lo occuperanno le parole «equità» e «lavoro». Che cosa non farebbe un governo guidato da Bersani che ha fatto il governo Monti? Prova a spiegarlo Davide Zoggia, responsabile Enti locali del partito e molto vicino a Bersani. «Le parole nuove saranno equità, lavoro, enti locali e territorio. Ad esempio il nostro giudizio sulla spending review è nel complesso positivo, salvo che per i tagli lineari agli enti locali. C'è grandissima preoccupazione per quanto riguarda la sanità».

Quanto alla legge elettorale, Bersani non potrà annunciare alcun accordo come sperava di fare quando è stata convocata l'assemblea nazionale solo qualche settimana fa. E senza accordo sulla legge elettorale anche il quadro delle alleanze non può essere chiarito. E senza un quadro chiaro delle alleanze non si possono stabilire le regole delle primarie. Per questo oggi l'impegno a fare le primarie, come chiede a gran voce il sindaco di Firenze Matteo Renzi, verrà ribadito rimandando però i dettagli all'autunno.

E anche sulla riforma del Porcellum le carte sono coperte. Bersani ribadirà che il Pd è disposto a trattare mantenendo i paletti della scelta diretta degli eletti e della governabilità. Tradotto: collegi uninominali (e non preferenze come vogliono Pdl e Udc) e congruo premio di governabilità alla coalizione (e non al solo primo partito come vogliono Pdl e Udc). L'allineamento di Pier Ferdinando Casini sulle posizioni di Silvio Berlusconi ha certamente irritato il segretario del Pd, che rischia in questo modo di trovarsi in minoranza in Parlamento. I centristi ripetono che quella delle preferenze è una loro vecchia bandiera e dunque sono pronti a sostenerla anche se ora la ripropone il Pdl. Ma certo Casini non vuole strappare con il Pd. «Ho sentito sia Alfano che Bersani», ha detto ieri il leader dell'Udc spiegando che c'è «la ricerca faticosa di un'intesa».

E tra i pontieri di Pd e Udc si starebbe anche facendo strada l'ipotesi di prevedere che il partito che vince si assicura la guida di Palazzo Chigi: un modo per rendere più digeribile a Bersani l'ipotesi del premio di governabilità al primo partito e non alla coalizione. Veltroniani ex popolari e lettiani, contrari alla riproposizione della foto di Vasto con Idv e Sel, spingono per questa soluzione: un proporzionale con premio al primo partito, appunto, che mal che vada darebbe al Pd la chiave per la formazione del governo con un 35-40%. Non a caso lo schema di alleanza con l'Udc a cui sta pensando Bersani – come rivela un dirigente di largo del Nazareno – non prevede l'alleanza stretta in una coalizione pre-elettorale ma la semplice «dichiarazione di intenti prima del voto» per poi formare la maggioranza a urne chiuse. Ma ora è troppo presto, tutto è rimandato in autunno.

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