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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2012 alle ore 09:33.

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È diritto del segretario del Partito Democratico anteporre una sorta di «agenda Bersani» alla più nota «agenda Monti». Ma è suo dovere precisare di cosa si tratta e quali sono i punti prioritari.

In altre parole, l'assemblea del Pd che si tiene oggi a Roma non serve solo a dirsi arrivederci prima delle vacanze estive; al contrario, la riunione rappresenta un passaggio politico piuttosto serio e un'occasione che il maggior partito del centrosinistra non può sprecare.

Bersani si è fatto precedere da un'intervista al «Financial Times», condotta in uno stile da presidente del Consiglio in pectore che vuole cominciare ad accreditarsi negli ambienti internazionali. Si parla del senso di responsabilità come caratteristica del centrosinistra di governo; e si accenna all'«eredità» di Monti che non dovrà andare dispersa. Tutto in forma alquanto generica, per cui è inevitabile attendersi che oggi il leader del Pd sia molto più preciso. L'«agenda Bersani» dovrà uscire dai cassetti. Non basta dire, come si sente spesso dalla bocca del segretario, che «noi abbiamo le nostre idee e al momento opportuno le metteremo sul tavolo». Tutto lascia presumere che quel momento sia arrivato.
Sui tagli alla spesa pubblica, sui risparmi che toccano la vita dei cittadini, sui provvedimenti per lo sviluppo, Bersani dovrà spiegare cosa non lo ha convinto nelle scelte di Monti, ma soprattutto cosa farebbe il governo di centrosinistra chiamato a decidere in luogo dei «tecnici». Del resto, il segretario è il primo a sapere quanto sia difficile reggere una campagna elettorale che si annuncia assai lunga limitandosi a denunciare il «populismo delle destre».

La formula assomiglia a un'ultima incarnazione della polemica anti-berlusconiana, mentre è evidente che il populismo è ben radicato anche a sinistra, persino in qualche frangia del Pd. E ora che il fantasma del vecchio avversario è tornato a palesarsi sulla scena, come in un'assurda macchina del tempo, c'è il rischio di essere risucchiati nell'ennesimo, inconcludente duello con il passato.

Dunque Bersani ha bisogno di dare alcune risposte che siano degne di nota. Primo: l'agenda Bersani è in linea di continuità o di rottura con l'esperienza dell'attuale governo? Finora ha prevalso l'ambiguità, tanto è vero che quindici deputati del Pd hanno firmato a sostegno dell'agenda Monti, ossia di una chiara continuità, mentre il responsabile economico Fassina si colloca agli antipodi esatti di questa posizione. Il segretario dovrà trovare la quadra senza apparire un mero giocoliere delle parole.
A questo si lega il secondo punto. Quanto il Pd vuole mettersi in gioco per conquistare l'elettorato di centro, i cosiddetti ceti moderati? Qualcuno ricorda in queste ore che i laburisti inglesi non hanno esitato a rivolgersi a Tony Blair, uno che sapeva bene come sottrarre voti ai conservatori. E in Italia? Bersani guarda con evidenza ai successi di Hollande in Francia, ma c'è il rischio che il centrosinistra non riesca a uscire dal tradizionale perimetro di consensi e di contraddizioni.

Terzo. Occorrerà fare chiarezza su due aspetti cruciali. Come intende muoversi il Pd sulla legge elettorale? A Napolitano Bersani ha garantito il massimo impegno. Ma c'è il rischio che la paralisi continui e che il partito appaia privo di iniziativa. E infine, le primarie. Bersani dovrà dire una parola chiara in proposito. I candidati a quanto pare ci sono: Vendola, Tabacci, oltre a Matteo Renzi. È tutto il resto che manca.

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