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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2012 alle ore 06:36.

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di Leonardo Maisano

«La cosa più sorprendente è che le percentuali false del Libor i banchieri se le urlavano da un desk all'altro delle trading rooms. Sarebbe bastato un foglietto di carta». Adair Turner ammicca ai deputati inglesi, sconcertato per quella mano da magliari giocata fra i grattacieli di Canary Wharf, a tremila miglia dal Rione Sanità.

LONDRA. Dal nostro corrispondente

L'avidità ha messo al rogo anche le residue forme di britannica discrezione, spingendo i bankers a dare - letteralmente - i numeri per assecondare i desideri del miglior offerente, falsando i tassi su 350mila miliardi di dollari di prestiti interbancari, derivati, mutui.
Lord Turner considerato una delle teste più lucide della City, Pari del Regno per volontà del partito laburista, alla guida della Consob britannica (Fsa), fino alla scorsa settimana era, insieme con Paul Tucker, vice governatore della Banca d'Inghilterra, il più probabile successore alla poltrona di Mervyn King, numero uno della banca centrale. Ai Comuni, ieri, il governatore sedeva fra i suoi due delfini, ben sapendo che il caso Libor li aveva ormai impallinati entrambi. Anche lui, del resto, ne esce malconcio, sbeffeggiato com'è stato dai riferimenti che Ben Bernanke ha rilanciato dagli Usa inalberando la difesa della Fed, pronta nel denunciare un sistema corrotto. A differenza di Londra.
Mai come ora le piaghe della City sono esposte al mondo in una sequenza di scandali che si stentano a ricordare, ma che muovono fra le disavventure dal trader ghanese Kweku Adoboli di Ubs e di quello francese, Bruno Iksil, a Jp Morgan capaci di bruciare miliardi di dollari in "giochi" di puro azzardo. E tutto questo attenua la luce critica su New York nonostante l'accento di Bob Diamond e di Jerry del Missier, rispettivamente numero uno e due di Barclays Bank - l'istituzione al centro del caso Libor - ricordi a tutti che il manovratore era made in Usa. Si assiste in queste ore a un rimbalzo di responsabilità che non ha precedenti, la palla scotta fra la City e Wall street, fra Diamond e del Missier, ma anche fra Fsa, Bank of England e Bba (l'associazione bancaria britannica). Sullo sfondo resta, però, la sensazione che il caso Libor non sia affatto il caso Barclays e non solo perchè coinvolge almeno altre sette banche, ma perchè ha ormai esposto le incertezze di un sistema, non le frodi di singole istituzioni. Sul banco degli imputati ci sono i regolatori, troppo ciechi e troppo sordi ai richiami interni ed esterni.
Maggio 2007, giugno 2008, novembre 2009, luglio 2012: attorno a queste date si è consumato lo scandalo vero del Libor. Se fra il 2005 e il 2007 il sospetto che ci fossero manipolazioni era un sussurro, nel maggio 2007 finisce sui giornali, nel giugno del 2008 si trasforma in una nota che Tim Geithner, all'epoca alla Fed, inviò alla Banca d'Inghilterra, ma solo nel novembre 2009 Turner, capo della Fsa, ammette di esserne venuto a conoscenza. «Io - ha detto Mervyn King ai Comuni - ho saputo di manipolazioni fraudolente al Libor quando è stata comminata l'ammenda da 450 milioni di dollari». Ovvero due settimane fa.

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