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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2012 alle ore 14:24.

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«Il capo sono io». Repetita iuvant. Umberto Bossi non ne vuole sapere di essere messo alla porta dal movimento che ha fondato. E a Roberto Maroni, che di lui ha detto: «Non ha nessun potere», non le manda a dire: «Ci sono tanti cani piccoli che abbaiano molto ma non fanno paura». Non raccoglie l'ex ministro dell'Interno: «Il congresso ha preso la sua decisione e la questione per me è chiusa».
È il secondo battibecco a distanza tra l'ex e l'attuale segretario federale della Lega Nord nel giro di nemmeno dieci giorni.

A poco sembra essere valso il congresso di Assago, che avrebbe dovuto segnare la fine di un'era e l'inizio di una nuova fase per il Carroccio, con l'abbandono di vecchie logiche da molti considerate personalistiche.
Bossi parla, interpellato dai cronisti, anche di Silvio Berlusconi, per dire che non ha «capito se (il Cavaliere, ndr) è tornato veramente in campo». E taglia corto su una possibile alleanza tra Pdl e Lega in vista del 2013: «Troppo presto per parlarne ora». «Roma non mi piace», dice il Senatur. Ribatte la deputata del Carroccio Paola Goisis: «È qui che dobbiamo fare la guerra». E lui: «La guerra preferisco farla sulle Alpi».

Lo scenario nella Lega è speculare a quello di un anno fa, prima che scoppiassero gli scandali che hanno portato all'espulsione dal movimento di alcuni dirigenti di partito. Umberto Bossi da una parte, Roberto Maroni dall'altra, con il Senatur che non è più quello di un tempo, quando i lumbard lo difendevano (quasi) a tutti i costi.
«La sua presidenza è un ruolo affettivo, il riconoscimento concesso alla sua storia personale», ha detto il segretario federale dell'ex Capo. Il cui nome ora non è più nemmeno sul simbolo del Carroccio.

Bossi si è fatto pizzicare in piazza Navona con una delle espluse dal movimento, la più invisa a Maroni: Rosi Mauro. E punta a garantirsi i poteri di reintegro nel partito di chi è stato cacciato anche prima delle modifiche statutarie decise al congresso. Ma l'ex ministro dell'Interno ha già detto chiaramente che le cose non stanno così. Il Senatur prosegue però sulla strada e a tratti è protagonista di uscite che innervosiscono Bobo, per poi elogiarlo pubblicamente davanti ai militanti. I bossiani continuano a non voler sentir nemmeno parlare di scissioni interne, eppure il sospetto che la guerra possa essere vicina a una frattura sta venendo a molti. Dentro e fuori il partito.

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