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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2012 alle ore 15:32.

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Rocket Internet sbarca in Italia per partecipare alla voglia di start-upRocket Internet sbarca in Italia per partecipare alla voglia di start-up

Primo maggio scorso, cinguettio dal fondatore e presidente di Twitter, Jack Dorsey: «You don't have to do it first, you just have to do it right». Se cerchiamo una frase che riassuma e definisca il lavoro dei fratelli Samwer possiamo agilmente prendere questa. I tre imprenditori dotcom tedeschi, Alexander (37 anni), Oliver (39) e Mark (41), sono a capo di uno dei principali incubatori europei (e mondiali) di aziende della rete, quella Rocket Internet che continua a partorire a decine start-up in giro per il globo: riprende idee di aziende già esistenti (ma non solo) e le sviluppa spesso meglio dell'originale.

Se pensate a una start-up che possa sfondare, i Samwer l'avranno certo già adocchiata o replicata. Nel quartier generale di Berlino si lavora così. Si punta una nuova impresa con un mercato importante, con un business model che stia funzionando in alcuni paesi. Prima che il successo sia noto a tutti, la si mappa, si vede dove ci sono spazi liberi per agire, si modella l'idea sul mercato specifico, vergine o meno. Perché – è la tesi - le società hanno mica brevetto, e il trademark (che si applica solo nei paesi dove sono registrate) non viene violato. L'elenco dei progetti andati in porto è lungo e affonda le radici ancor prima della nascita di Rocket nel 2007. Parlano le vendite all'asta di Alando (simil eBay), il social commerce di City Deal (simil Groupon), la ricerca dell'anima gemella di eDarling (eHarmony), il gaming online di Plinga (Zynga), la bacheca degli interessi di Pinspire (Pinterest), gli alloggi in affitto di Wimdu (Airbnb),le scarpe e la moda di Zalando (Zappos).

La sede italiana
Ora Rocket Internet, uffici sparsi in almeno 20 paesi, è arrivata anche in Italia. Non che prima non fosse già attiva nel paese con i propri portali, basti pensare appunto al successo di City Deal prima e Zalando oggi. Ma da febbraio è seguito lo sbarco fisico, e ha aperto i battenti la sede di Milano «già operativa, dove lavora un gruppo con età media di 26-27 anni», racconta il managing director Michele Ferrario. Che ha già prodotto alcuni siti, a partire da Dalani (shopping per la casa e l'arredamento). «Le nostre presentazioni ai Career Day del Politecnico di Milano e Torino e della Bocconi sono state stracolme di gente interessata. Fino a qualche anno fa principale obiettivo dei migliori studenti universitari era entrare in grandi banche d'affari o importanti multinazionali, oggi vedo invece più voglia di mettersi in gioco, facendo start-up. E sotto questo punto di vista offriamo ai giovani brillanti una possibilità ineguagliabile: usufruire del sostegno di un'azienda leader, con grande esperienza nel settore. Ci piace far parte dell'ecosistema che si sta creando in Italia, dove leggiamo una maggior propensione all'imprenditorialità, e continuiamo a cercare persone di valore e idonee ai progetti che intendiamo via via sviluppare».

Rocket, sostiene Ferrario, non è propriamente un incubatore né un venture capital. «Dal punto di vista culturale, rispetto al primo, non aspettiamo idee di gente che venga a proporle, ma stabiliamo noi i nostri obiettivi. E rispetto ai venture mettiamo meno soldi, ma offriamo più supporto». Rocket ingaggia lo staff, provvede a marketing, design, ottimizzazione sui motori di ricerca, e al management fin quando la start-up è in grado di camminare con le proprie gambe. «Alle tre componenti del successo di una start-up (buona idea, persone giuste, fondi), noi aggiungiamo la capacità di execution comprovata nel corso degli anni. Il fatto che ci sia un minor rischio sul modello di business non significa che il progetto debba funzionare in automatico. E spesso ci troviamo a competere con aziende già presenti in una particolare area, che inseguono la stessa idea».

Pensiero e azione: si gioca sul tempo. Con una potenza di fuoco garantita anche dai capitali di oligarchi russi, miliardari svedesi, fondi arabi. «Venture capital e grandi famiglie imprenditoriali che puntano sul nostro modo di lavorare. Se decidiamo di seguire un'idea e pensiamo che ci sia opportunità in un particolare mercato, in una geografia, la realizzazione arriva nel giro di poche settimane, se non ci sono grossi temi regolatori. Fondamentale è la qualità delle persone, per questo abbiamo intervistato e continuiamo a intervistarne così tante. Bisogna infatti stare sempre pronti: è la capacità quella che conta, l'idea è lo zero virgola per cento».

I copioni di internet
Una risposta neanche velata a quanti non esitano a definire Rocket una fucina di replicanti e i Samwer "copioni" del web. «Non copiamo le idee – spiega Ferrario - ma lanciamo società. Forse gli Agnelli hanno ideato l'automobile o la Rinascente è stato il primo department store al mondo?». È lo stesso ragionamento dei loro sostenitori: Facebook è arrivata dopo Friendster e My Space, Instagram dopo PicPlz, Apple non ha inventato il lettore Mp3, lo smartphone touch o il tablet. E allora: cosa impedisce di sfruttare un modello di business che riscuote successo da qualche parte nel mondo e magari perfezionarlo? La corsa al prodotto che funzioni contempla queste tattiche e la storia ne è piena. Solo che adesso «la velocità di imitazione sta drammaticamente accelerando», spiega a Inc. Oded Shenkar, professore di global business all'Ohio State University e autore del libro Copycats.

Mentre i detrattori del modus operandi dei Samwer giungono anche ad affermazioni feroci e a condire le critiche con gesti simbolici, bruciando l'effigie del "copycat guy" come accaduto all'European Pirate Summit di Colonia. Ma in realtà definizioni e varie questioni di principio si arenano di fronte allo spirito imprenditoriale dei Samwer, e non è il caso di scomodare Picasso, la mediocrità degli imitatori e il genio dei copiatori.

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