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Questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2012 alle ore 11:22.

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Parte il conto alla rovescia per 50 Province nei territori ordinari. Più altre 14 in quelli speciali. Tante sono le amministrazioni prive dei due parametri "vitali" fissati ieri dal Consiglio dei ministri, in attuazione della stretta contenuta nell'articolo 17 del decreto 95/2012 sulla spending review. Ciò significa che, entro fine anno, gli enti di area vasta sparsi lungo lo Stivale potrebbero scendere da 110 a 46. Incluse le 10 Città metropolitane che dovranno vedere la luce all'inizio del 2014.

Come anticipato ieri su questo giornale il Cdm ha esaminato e approvato, sebbene non fosse prevista all'ordine del giorno, la delibera che fissa a 350mila abitanti e 2.500 chilometri quadrati i criteri minimi per la sopravvivenza delle Province. L'atto in due articoli, che dovrà ora essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, stabilisce che al termine del riordino sopravvivranno solo gli enti che avranno «entrambi i requisiti» di cui sopra. Ferme restando le eccezioni già fissate dall'articolo 17: essere capoluogo di Regione e non confinare con un'area metropolitana, da un lato, e con Province appartenenti a territori diversi, dall'altro.

Per avere un'idea di come cambierà la geografia italiana basta buttare un occhio alla cartina qui accanto. Tenendo però presente che – rispetto all'idea originaria del ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi – le amministrazioni passibili di taglio sono scese di dieci unità. Aver abbassato da 3.000 a 2.500 kmq l'ambito territoriale ottimale ha di fatto "salvato" Bergamo e Pavia in Lombardia, Vicenza nel Veneto, Modena e Ferrara in Emilia Romagna, Pesaro-Urbino nelle Marche, Chieti in Abruzzo, Caserta e Avellino in Campania e Lecce in Puglia.

Al termine del processo appena partito, in più di un angolo del Belpaese il numero di Province potrebbe quanto meno dimezzarsi. Si pensi alla Toscana dove per ora sopravvivrebbe la sola Firenze. O il Veneto che manterrebbe Venezia, Verona e Vicenza ma perderebbe le altre quattro istituzioni oggi esistenti. Discorso diverso – ed è bene ricordarlo – per le Regioni speciali. Che hanno sei mesi di tempo per adeguarsi. Sempreché vogliano farlo visto che il Dl 95 non fissa (e difficilmente potrebbe farlo senza rischiare di aprire un contenzioso davanti alla Consulta) una sanzione per chi non si adegua. Tanto più che la delibera del Consiglio dei ministri si riferisce alle sole regioni a statuto ordinario.

A ogni modo l'iter che porterà alla soppressione degli enti a rischio non si annuncia breve. Entro 40 giorni i Consigli delle autonomie locali (Cal) dovranno presentare le loro proposte di accorpamento che toccherà poi al Governo, sentiti i governatori, ratificare. Quel termine sembra però destinato a slittare almeno a settembre in base all'orientamento espresso giovedì nelle commissioni Bilancio e Finanze (su cui veda altro articolo qui sotto) dai due relatori al decreto spending, Gilberto Pichetto Fratin (Pdl) e Paolo Giaretta (Pd).

Il provvedimento adottato ieri in Cdm contiene alcune indicazioni per i Cal nella loro attività di riordino. A cominciare dal fatto che le Province destinate a rinascere dalle ceneri di quelle esistenti non potranno essere accorpate alle 10 Città metropolitane in arrivo (Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria). I nuovi nomi saranno decisi dagli stessi Consigli che dovranno stabilire il capoluogo nel territorio con il maggior numero di residenti. Ad esempio nella Romagna di cui già si fantastica, tra Rimini, Ravenna e Cesena-Forlì andrebbe scelta quest'ultima.

Nel commentare le scelte del Governo il presidente dell'Upi, Giuseppe Castiglione, ha sottolineato come si sia dato «il via a un processo di riforma istituzionale dal quale ci auguriamo esca una Italia più efficiente con una amministrazione più moderna». Entro quando? «Per la fine del 2012», ha risposto il ministro Patroni Griffi che ha indicato in 40 Province e 10 Città metropolitane il target da raggiungere.

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