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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2012 alle ore 06:40.

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Nessuno dei due fronti, ribelli e lealisti, vuole perdere la battaglia di Aleppo, chiave strategica e politica della guerra civile. Dopo Beirut e il Cairo questa è la terza città del Medio Oriente per numero di cristiani, 300mila su due milioni, a soltanto 60 chilometri dal confine della Turchia che ieri ha chiuso i valichi di frontiera. La città è isolata dai combattimenti che hanno tagliato le comunicazioni a sud e a nord, mentre le truppe di Bashar Assad, secondo le tv del regime, già cantano vittoria.
Da Sarajevo, che fu sbriciolata da 1.200 giorni di assedio, Ban Ki-moon, segretario generale dell'Onu, ha lanciato un appello al mondo evocando il genocidio bosniaco: «Unitevi, agite per fermare il massacro in Siria», ma intanto metà dei 300 osservatori delle Nazioni Unite ha già fatto le valigie, segnale non incoraggiante.
Aleppo per mesi è stata considerata una delle roccaforti di Assad. Fino a quando non vedremo la rivolta ad Aleppo, si diceva a Damasco, il regime avrà la situazione in pugno. L'offensiva della guerriglia, con l'attentato che ha decapitato i vertici dell'apparato di sicurezza, aveva già fatto tremare lo Stato monopolizzato dalla minoranza alauita ma essere sconfitti ad Aleppo, il maggiore centro economico, con una provincia ancora più popolosa (7 milioni) di quella di Damasco, sarebbe una disfatta irrimediabile per il clan Assad: l'inizio della fine, con la Siria che verrebbe tagliata in due.
È la battaglia del Nord, a ridosso della frontiera turca, retrovia vitale per gli insorti, un entroterra di villaggi che i ribelli considerano zone "liberate" dove ogni giorno si combatte ferocemente: è qui che la guerra civile potrebbe assumere una dimensione internazionale.
La guerra siriana è già un conflitto per procura dove le monarchie arabe sunnite, con il sostegno concreto della Turchia, degli Stati Uniti e della Francia, affrontano l'arco dell'alleanza sciita costituita dalla Siria, dall'Iran e dagli Hezbollah libanesi. Nel Nord siriano lo schieramento anti-Bashar, secondo quanto scrive un rapporto del britannico Royal United Services Institute (Rusi), potrebbe essere tentato dall'opportunità di lanciare operazioni delle forze speciali e dei servizi per appoggiare la guerriglia. «Non ci stiamo muovendo per intervenire - dicono gli inglesi - ma l'intervento potrebbe venirci incontro per forza di cose». Più che frenare il massacro, l'obiettivo sarebbe quello di evitare che il conflitto si propaghi al Libano o all'Iraq, magari rassicurando la Turchia che i curdi siriani non si impadroniranno delle province al confine con il Kurdistan, l'incubo di Ankara, impantanata da 30 anni in un conflitto senza fine.
Dopo avere proclamato che la Siria non sarà la Libia, un intervento occidentale, anche sottotraccia, sarebbe una prospettiva inquietante per la Russia di Putin, scesa in campo ieri per ammonire Damasco sulle minacce di uso di armi chimiche ma anche per redarguire gli Stati Uniti che, secondo Mosca, «stanno appoggiando il terrorismo». Russi e occidentali, dopo il fiasco delle risoluzioni Onu bloccate dal veto di Mosca e Pechino, sono impegnati in uno scambio di accuse sterili che impediscono di delineare una soluzione politica, non aiutati in questo da un'opposizione divisa, quella del Cns (Consiglio nazionale siriano) che appare un coro eterogeneo e dissonante dove soltanto i Fratelli Musulmani hanno qualche influenza reale.
Laici e secolaristi del Cns potrebbero essere spazzati via nella nuova Siria. Alcuni lo temono, altri sono attirati da possibili accordi con i sunniti e dal denaro delle petromonarchie come il Qatar che sta facendo un'abile operazione per cooptare nell'opposizione anche le tribù siriane. A Doha ha trovato riparo l'ex ambasciatore a Baghdad, Nawaf Fares, il cui clan fa parte della potente confederazione tribale degli Egaidat, un milione e mezzo di membri, il 40% in Siria, con legami di sangue con le élite di Qatar, Arabia Saudita e Kuwait. Le tribù, rimaste ai margini dello stato moderno, sono riemerse con la crisi economica e l'immigrazione urbana come reti di appartenenza sociale e solidarietà.
E Aleppo? Aleppo, che rivendica 5mila anni di storia e una magnifica eredità ellenica, cristiana, ebraica e araba, vive con terrore l'assedio, le battaglie strada per strada, le raffiche di artiglieria, i raid dell'aviazione di Assad e le incursioni degli insorti. Sopra l'acropoli che domina l'abitato, una cinta di mura custodisce monumenti e segreti come la tomba del profeta alauita Al Khasibi: spirò, anziano e cieco, una notte del 965 e i suoi adepti corsero fuori per vedere la sua anima tramutata in stella nella Via Lattea.
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