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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2012 alle ore 08:32.
L'ultima modifica è del 01 agosto 2012 alle ore 07:32.

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FRANCOFORTE - È passata anche da un caffè preso insieme lunedì pomeriggio nel suo ufficio all'Eurotower, poco prima che alla Banca centrale europea arrivasse il segretario al Tesoro americano Tim Geithner, l'offensiva diplomatica del presidente della Bce, Mario Draghi, nei confronti del suo collega della Bundesbank, Jens Weidmann.

Draghi è perfettamente consapevole dell'importanza di muoversi in accordo con il suo principale "azionista" e non sottovaluta il crescente irrigidimento in Germania - ieri il ministero delle Finanze tedesco ha ribadito il "no" alla concessione di una licenza bancaria al fondo salva-Stati - contro ogni intervento della Bce che possa sembrare una deviazione dal mandato per la stabilità dei prezzi e uno sconfinamento nei compiti della politica fiscale in supplenza ai Governi. Sa anche che la credibilità, e quindi l'efficacia, di ogni mossa della Bce viene subito sminuita dall'opposizione dichiarata della Bundesbank. La ricerca di una sintonia è particolarmente importante in quest'occasione, dopo la dichiarazione di Draghi a Londra la scorsa settimana, secondo cui «nell'ambito del suo mandato, la Bce è pronta a fare tutto il ncessario per salvare l'euro».

Il colloquio con Weidmann è avvenuto rigorosamente a due. E non è certamente un fatto isolato. I rapporti personali, per dichiarazione esplicita di entrambi, sono buoni e i contatti frequenti. In vista delle riunioni di Consiglio, fanno parte della routine di consultazioni e scambi di vedute che Draghi compie non solo con il presidente della Buba, ma con altri governatori, certamente con tutti quelli delle principali banche centrali nazionali. Spesso al telefono, a volte di persona, il che, nel caso di Weidmann, che lavora a una distanza di un quarto d'ora dall'Eurotower, è più semplice che con altri. Tuttavia in questo caso, secondo diverse fonti monetarie, il presidente della Bundesbank sarebbe stato colto di sorpresa dall'intervento di Draghi a Londra. E dato che il capo della Bce aveva fatto riferimento alla necessità di correggere il cattivo funzionamento della trasmissione della politica monetaria, frase in codice che negli ultimi due anni ha giustificato gli acquisti di titoli di Stato da parte dell'Eurotower, la Bundesbank ha tenuto a ribadire la sua contrarietà a questa misura.

In realtà, le posizioni sono meno distanti di quanto possa sembrare: lo stesso Draghi ha precisato che la Bce non intende sostituirsi ai Governi. E anzi ha combattuto una lunga battaglia perché i fondi salva-Stati divenissero pienamente operativi e quindi toccasse a loro, in prima battuta, intervenire sui titoli di Stato. Il che è stato ribadito anche dal vertice europeo di fine giugno.

I paletti fissati dalla Banca centrale tedesca, che spesso in consiglio trova il sostegno di Olanda, Finlandia e Lussemburgo, sono un limite per Draghi, ma il presidente della Bce non ha abdicato alla sua leadership quando ha ritenuto giusto superarli, avendo con sé una larga maggioranza del Consiglio. In questa occasione si muove inoltre avendo alle spalle un forte avallo politico, la raffica di dichiarazioni dei leader europei, compreso il cancelliere tedesco Angela Merkel e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, a sostegno del suo discorso di Londra. Draghi non vuole uno scontro con Weidmann, come quelli che hanno portato alle dimissioni del suo prdecessore Axel Weber e del membro tedesco del consiglio, Jürgen Stark, dopo una diatriba con l'allora capo della Bce, Jean-Claude Trichet, proprio sull'acquisto di titoli di Stato. Ma al tempo stesso il banchiere italiano non può permettersi di deludere troppo le attese dei mercati finanziari, anche se queste si sono spinte forse al di là di quello che la Bce possa realisticamente fare.

Intanto probabilmente non è casuale che proprio nell'imminenza di un Consiglio così importante un'associazione di Bruxelles abbia presentato al Mediatore europeo, che vigila sull'integrità delle istituzioni comunitarie, una denuncia contro la partecipazione di Draghi al Group of Thirty, presentata come una lobby bancaria e quindi in conflitto di interessi con la presidenza della Bce. In realtà il gruppo è una sorta di pensatoio che riunisce banchieri centrali in attività o ex (ne faceva parte anche Tommaso Padoa-Schioppa), che elabora documenti su vari temi monetari e finanziari globali.

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