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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2012 alle ore 08:09.

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Sono in tre. Belli lucidi e abbronzati. Magliette attillate. Muscoli tatuati. Con una apecar scassata entrano in Piazza della Vittoria. Si pongono al centro. Hanno un microfono. A venti metri c'è il palco di Fim, Uilm e Fiom su cui sono assiepati, braccia conserte e atteggiamento nervoso, i sindacalisti locali e di categoria.

Poco distanti, con lo sguardo di chi ha capito che la giornata è rovinata, ci sono i tre segretari generali: Susanna Camusso della Cgil, Luigi Angeletti della Uil e Raffaele Bonanni della Cisl. I tre sull'apecar iniziano a leggere un discorso radicale e estremista, denso di accuse ultra-ecologiste rivolte ai Riva e ai sindacati collusi con "i padroni", responsabili quanto loro dei danni prodotti dalla fabbrica all'ambiente e alla salute. Alcuni li fischiano. Cala il gelo quando uno di loro dice: «Con il vostro acciaio avete distrutto una città».

Una frase inascoltabile, in una delle culle della cultura industriale italiana. Altri li applaudono, scandendo cori da stadio: «Non è un caso – commenta ai bordi della piazza un esponente delle forze dell'ordine – l'estremismo tarantino è formato da fuoriusciti dalla Fiom, spesso tenuti ai margini perfino dai Cobas, che hanno fatto una strana alleanza con gli ultras del Taranto Calcio». L'estetica da tronisti di Maria De Filippi e l'atteggiamento da centro sociale duro e puro li rendono quasi pittoreschi. Incutono timore. Nella Taranto dei paradossi, tutti e tre sono operai dell'Ilva, uno risulta perfino iscritto alla Fim.

Li conoscono in molti. Ma provocano ansia: a parecchi fanno venire in mente i black bloc e le voci che si sono rincorse negli ultimi giorni di una loro presenza alla manifestazione di Taranto. «Anche io ho partecipato al fuggi fuggi quando sono arrivati – dice Padre Nicola Preziuso, cappellano dell'Ilva e direttore della pastorale del lavoro – poi sono rientrato con gli altri in Piazza della Vittoria, ma ormai la giornata era compromessa». Compromessa, sì. Anche se nessuno si è fatto male.

Uno dei tre dice: «Quelli del sindacato ci avvertono che abbiamo ancora due minuti e poi ci caricano». Non si arriva a nessuno scontro fisico. L'apecar esce dal perimetro della piazza. Gli esponenti di Fim, Fiom e Uilm tengono discorsi interrotti da fischi e da slogan da stadio (a un certo punto si accende un lacrimogeno da curva, colore arancione). Bonanni e Angeletti fanno un breve discorso e poi se ne vanno. Perfino Maurizio Landini, l'erede alla Fiom del mitico Claudio Sabattini, riceve qualche fischio. La Camusso sale sul palco.

Non sarà Bruno Trentin, ma ha abbastanza carisma per zittire tutti. La segretaria della Cgil ribadisce la linea espressa finora dai sindacati: «L'azienda deve fare gli investimenti necessari, ma la fabbrica non può chiudere. I posti di lavoro vanno conservati. E va difeso il futuro dell'industria italiana». Il suo, poco prima di mezzogiorno, è l'intervento conclusivo in una mattina da dimenticare. Una mattina che era iniziata bene. I cortei si sono formati in due punti di Taranto: via Magnaghi e Ponte di Pietra, vicino allo stabilimento dell'Ilva. La voglia di esserci è tale che, un quarto d'ora prima delle nove, l'ora fissata per dare inizio al corteo, gli operai e gli impiegati iniziano a muoversi da Ponte di Pietra. Lo slogan più ripetuto è «il lavoro non si tocca, il lavoro non si tocca».

Ogni dieci passi viene ripetuto. Ogni tanto qualcuno scandisce «lavoro ambiente in modo intelligente». Ma tutti tornano a «il lavoro non si tocca, il lavoro non si tocca». Di fronte alla Chiesa di San Giuseppe, su cui campeggia la scritta «Abbi fede, Gesù ti salva», e qui di fede ce ne vuole molta, alla testa del corteo si mette un papà che ha sulle spalle un bambino di quattro anni. E tutti iniziano a ritmare «Enzino, Enzino, Enzino». A Enzino si riempiono gli occhi di felicità. Al papà di orgoglio.

All'altezza del Comune, vicino al Ponte girevole che congiunge la meraviglia della Taranto araba (la città vecchia) al rigore estetico di quella umbertina (la città nuova), è appeso a un muro il lenzuolo «Le nostre critiche e il vostro lavoro valgono più dei loro profitti», firmato Sinistra Radicale. I due ragazzi di Sinistra Radicale, in questa storia in cui il conflitto fra capitale e lavoro c'entra proprio poco, sono guardati con un certo pacifico fastidio dagli operai e dagli ingegneri. Il corteo arriva in Piazza Giovanni XXIII, dove un madonnaro sta realizzando per terra un Cristo dolorosissimo. A poche centinaia di metri, anche grazie all'apporto degli ultras del Taranto Calcio, si apre un varco fra la folla l'apecar, simbolo di una giornata che finirà malamente.

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