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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2012 alle ore 20:41.
Uno: primarie di coalizione e non solo di partito. Due: primarie con il doppio turno, come suggerito sul Sole 24 ore da Roberto D'Alimonte il 19 giugno scorso. La due giorni di costruzione dell'alleanza tra Pd e Sel si è conclusa per il leader democratico Pier Luigi Bersani con un quadro più chiaro di quali saranno le tappe da qui a fine anno. Nichi Vendola ha non solo sottoscritto il "programma" in 10 punti buttato giù da Bersani (la «carta d'intenti»), ma anche annunciato la sua candidatura alle primarie.
Migliore: una candidatura che non era affatto scontata
«Una candidatura che non era affatto scontata – fa notare Gennaro Migliore, della segreteria Sel – e che viene solo dopo aver ricevuto alcune garanzie sulle regole». In buona sostanza, potranno candidarsi alle primarie di coalizione soltanto coloro che accetteranno il patto programmatico tra democratici e progressisti. «Insomma, ora siamo sicuri che non spunterà un Monti all'ultimo minuto», dice Migliore. Un Monti, ma anche un Grillo o un Di Pietro. Il leader Idv, tuonante contro gli ex alleati della foto di Vasto che lo hanno volutamente lasciato fuori dalla costituenda alleanza, già minaccia di candidarsi anche lui. Senza sottoscrizione del patto niente candidatura: quindi anche di Pietro resterà fuori nonostante i suoi proclami. Nessuna candidatura di disturbo, quindi.
Cinque i candidati
Al momento i candidati sono cinque: Bersani, Vendola, il sindaco democratico di Firenze Matteo Renzi, il centrista dell'Api Bruno Tabacci e l'assessore alla cultura milanese Stefano Boeri. La presenza a sinistra di Vendola è ben bilanciata a destra. E Bersani può stare tranquillo che il voto di "protesta" e di "rinnovamento" sarà sufficientemente disperso. «Una competizione larga è per noi la soluzione di gran lunga migliore», ammette un dirigente di Largo del Nazareno. Il leader democratico ha fortemente voluto le primarie nonostante l'avversione di tutta la classe dirigente del partito, a prescindere dalle aree e delle correnti: tutti – da Massimo D'Alema a Walter Veltroni, da Enrico Letta a Rosy Bindi a Dario Franceschini – lo avevano consigliato di desistere dal momento che lo statuto del partito prevede che il candidato premier sia il segretario.
Contrarietà dei big
Si capisce la contrarietà dei "big": anche se nessun ha mai preso in considerazione l'ipotesi di una vittoria del giovane Renzi (ma non si sa mai...), un buon piazzamento del sindaco di Firenze significherebbe più potere dentro il partito a cominciare dalla formazione delle liste per le elezioni politiche. Un Renzi al 40% in una competizione tutta interna al Pd avrebbe portato con sé un radicale rinnovamento della classe politica facendo traballare molte rendite di posizione. E fino a qualche settimana fa l'ipotesi di una resa dei conti tra il segretario e lo sfidante Renzi sembrava la più probabile. Da qui le resistenze di Bersani a fissare già all'assemblea nazionale di metà luglio data e regole per le primarie. Ora il disegno bersaniano di primarie di coalizione si sta compiendo e anche le regole possono essere fissate. E in una corsa a 5 (o più) il doppio turno appare la soluzione più logica, in modo da far superare al vincitore la soglia del 50% con un'investitura piena. Quanto alla data, sarà a fine anno, probabilmente dicembre. A meno che la situazione politica generale non precipiti verso le elezioni anticipate in autunno... e in questo caso il vincitore sarebbe comunque Bersani.
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