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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2012 alle ore 12:01.
L'ultima modifica è del 02 agosto 2012 alle ore 19:01.

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Resta in carcere Luigi Lusi, l'ex tesoriere e senatore della Margherita accusato di associazione per delinquere finalizzata all'appropriazione indebita. Lo ha deciso oggi il gip Simonetta D'Alessandro, che ha respinto la richiesta di scarcerazione avanzata dai difensori nonostante la procura di Roma abbia ieri dato parere favorevole agli arresti domiciliari, a condizione di rispettare le esigenze cautelari fino alla chiusura dell'indagine che vede coinvolto l'ex tesoriere.

Pur confermando gli arresti in carcere per Lusi, il gip ha lasciato comunque uno spiraglio alla possibilità di poter ottenere in futuro i "domiciliari", fissando alcuni "paletti" giustificati da esigenze istruttorie. In particolare, l'ex tesoriere della Margherita dovrebbe avere a disposizione un alloggio senza allacciamento a linee telefoniche o internet e senza la presenza di familiari compresa la moglie Giovanna Petricone, tornata libera tempo fa.

«Quanto deciso dal gip non ci stupisce, la decisione era nell'aria». Questo il commento dell'avvocato Renato Archidiacono - che insieme al collega Luca Petrucci difende Lusi - nell'apprendere la decisione del gip contraria all'istanza di scarcerazione. «Ora - ha proseguito Archidiacono - attendiamo l'udienza del Tribunale del Riesame». L'istanza dei difensori era stata presentata dopo che la Cassazione, nei giorni scorsi, ha annullato per difetto di motivazione la decisione del tribunale del riesame che confermava l'ordinanza di custodia del senatore emessa dal gip. A quella richiesta il pm Stefano Pesci e l'aggiunto Alberto Caperna hanno risposto ieri con un parere favorevole alla concessione degli arresti.

Sempre ieri, la suprema Corte ha depositato la sentenza 31503 in cui sono contenute le motivazioni dell'annullamento dell'ordinanza impugnata e del rinvio. Secondo la Cassazione il Riesame non ha spiegato le ragioni che lo avrebbero indotto a escludere la possibilità dei domiciliari, considerata invece possibile per i commercialisti Montecchia e Sebastio, parte anche loro di quel "sistema di schermatura triangolare" messo in piedi per saccheggiare le casse de La Margerita. Secondo la Cassazione la scelta si porrebbe in contraddizione con l'assunto dello stesso tribunale che il reato era reso possibile dall'incarico, non più ricoperto, di tesoriere. La carenza di motivazione sull'adeguatezza e la proporzionalità della misura è però l'unica pecca che la Suprema corte trova nel ragionamento del Tribunale del Riesame di Roma. I giudici di piazza Cavour concordano con la ricostruzione fatta per dimostrare l'esistenza di un vincolo associativo, escluso invece dai difensori.

L'ex tesoriere avrebbe distribuito dei compiti a ciscun associato informando i sodali che grazie, alla fiducia illimitata che gli era concessa dai componenti di un partito prossimo all'estinzione, era in grado di operare del tutto indistuirbato sul conto corrente aperto dall'associazione politica presso la Bnl all'interno del Senato. La Suprema corte fa sua la ricostruzione della creazione delle società civetta come quella sul ruolo dei due commercialisti addetti a far "quadrare i bilanci".

Nessun accordo occasionale dunque, ma una affectio criminis durata quattro anni e tesa a oscurare sprechi, acquisire immobili prestigiosi e investire in polizze assicurative: con il risultato di condurre un dispendiosissimo stile di vita improbabile per un'avvocato di provincia. Giusto anche il ragionamento sul depistaggio giornalistico finalizzato alla distruzione delle prove e sufficientemente provato il pericolo di fuga, magari verso il Canada: un luogo dove sono stati fatti cospicui investimenti e in cui la moglie di Lusi ha solide radici familiari. Necessarie dunque le misure cautelari, anche se non necessariamente in carcere.

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