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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2012 alle ore 06:37.

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ROMA
Portare lo stock del debito pubblico italiano a un livello di sicurezza entro il 2017 e ricondurlo nel 2020 entro la soglia del 100 per cento. È un obiettivo perseguibile e lo si può realizzare senza soluzioni spettacolari, del tipo "one shot", che in un modo o nell'altro nascondono aspetti forzosi e perciò nuocciono gravemente alla salute del risparmio.
È questo il punto di partenza di un documento di lavoro presentato dalla fondazione Astrid al ministro dell'Economia Vittorio Grilli e al presidente del Consiglio Mario Monti e messo a punto da un gruppo di undici esperti: in ordine alfabetico si tratta di Giuliano Amato, Franco Bassanini, Giuseppe Bivona, Davide Ciferri, Paolo Guerrieri, Giorgio Macciotta, Rainer Masera, Marcello Messori, Stefano Micossi, Edoardo Reviglio, Maria Teresa Salvemini.
Nel complesso, il pacchetto di operazioni straordinarie a riduzione del debito dovrebbe avere una dimensione di 150-200 miliardi, da recuperare di qui al 2017 (la tabella che pubblichiamo ne indica, per l'esattezza, 178,7). Ma, sostengono gli estensori del rapporto, alcune delle misure proposte se coerentemente proseguite anche nel quinquennio successivo, assicurerebbero un'ulteriore riduzione dello stock dell'ordine di 150 miliardi circa. «Noi proponiamo uno spettro di strumenti – spiega l'economista Marcello Messori, ordinario di economia all'università di Tor Vergata di Roma – che dovrebbe permettere una riduzione del debito, ogni anno non inferiore a un punto di Pil e non superiore ai tre punti di prodotto».
Già. Ma come si ottengono queste risorse? Il piano 2012-2020 tracciato nel rapporto Astrid prevede innanzitutto che tra i 55 e gli 80 miliardi possano provenire dalla vendita di immobili. Il valore stimato del patrimonio immobiliare della Pa è di circa 550-600 miliardi di euro (esclusi i beni demaniali) di cui il 53% è utilizzato dalle amministrazioni proprietarie, il 27% è dato in uso ad altri enti no profit e solo il 10% si può considerare libero. Tra i beni cedibili di qui al 2017 non si tiene conto dei 62 miliardi gestiti dall'agenzia del Demanio ma solo i 5 miliardi liberi del federalismo demaniale. Quanto al patrimonio immobiliare degli enti locali, su un patrimonio cedibile di circa 100-120 miliardi, la stima delle vendite possibili entro il 2017 è pari a 15-30 miliardi di euro.
Il secondo strumento da utilizzare secondo il rapporto è quello della valorizzazione delle concessioni, dalle quali potrebbero provenire 30-40 miliardi di euro; il terzo riguarda la cessione di partecipazioni quotate (Eni, Enel, Finmeccanica, StMicroelectronics) per un valore di borsa tra i 25 e i 30 miliardi di euro. Il quarto riguarda le partecipazioni non quotate dello Stato, a partire da Poste italiane (12-15 miliardi di euro).

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