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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2012 alle ore 06:37.

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TARANTO. Dal nostro inviato
Una radicale riorganizzazione industriale. Un profondo cambiamento della verifica dei processi, con un massiccio adeguamento degli impianti. Dentro alla fabbrica. A spese dei Riva. Ancora prima dell'accelerazione violentissima impressa fra venerdì e sabato, con la decisione di impedire la produzione nel ciclo a caldo e l'estromissione di Bruno Ferrante da custode giudiziale e amministratore, il gip Patrizia Todisco ha fissato una serie di obblighi che restano il cuore dell'intero caso Ilva.
Una agenda di natura puramente giudiziaria. Fuori dall'acciaieria, invece, il Governo nazionale ha definito, in un tavolo allargato a tutti i protagonisti della vicenda, gli interventi per eliminare gli effetti di una attività economica, la siderurgia, che dal 1965 ha portato a Taranto, insieme alla ricchezza e alla modernità industriale, il suo alto impatto ambientale. Trecentotrentasei milioni di euro, per il 98% pubblici. Una agenda di natura concertativa. Le misure chieste dalla Todisco prevalgono rispetto a quelle ventilate dal tavolo composto dalla stessa Ilva, dalla Regione Puglia, dal ministero dell'Ambiente, dall'Arpa Puglia e dall'Asl di Taranto. Ora, dopo il weekend, dentro e fuori l'azienda, c'è il caos. Anche se l'azione compatta del Governo (tutto schierato, ciascuno con i propri strumenti politici e legali, contro ogni ipotesi di chiusura, da Monti a Clini, da Passera alla Severino, fino al ricorso in Consulta) dovrebbe riportare razionalità all'intera vicenda.
Al di là del conflitto giudiziario-politico restano gli obblighi da ottemperare. Prendiamo Tamburi, il quartiere che sorge a ridosso dell'Ilva. È formalmente fuori dai confini dell'azienda. Ma, in realtà, è come se fosse incorporato dentro al gigantesco organismo dell'acciaieria. L'azienda dovrebbe aumentare le barriere fra il quartiere e i parchi minerali, dove si trovano mucchi di minerali così imponenti da essere chiamati "colline". In questo maniera si dovrebbe frapporre un muro fisico più alto alla polvere che si alza da questi enormi mucchi, che sorgono a poche centinaia di metri dalle case. Inoltre, su questi giganteschi cumuli di materiali andrebbe raddoppiata la superficie di "filmaggio", come è chiamata la pellicola chimica che viene condensata sulla loro sommità per tenerli fermi e impedire che i residui vengano portati via dal vento. Peraltro, su questo delicato versante che tanto incide nel rapporto fra la fabbrica e la città, Ferrante si era perfino dichiarato disponibile a spostare altrove le colline artificiali.
Poi, nel ciclo produttivo in via di traumatica rimodulazione aziendal-giudiziaria, dai parchi i minerali vengono portati negli agglomerati, dove subiscono le prime lavorazioni. Qui l'azienda, secondo il gip, dovrà adottare il trattamento a umido dei fumi e realizzare la copertura dello stoccaggio di pet-coke. Quindi, come capita in tutti gli stabilimenti siderurgici caratterizzati dal ciclo a caldo, gli operai trasportano il semilavorato dagli agglomerati alle cokerie, dove si effettua la distillazione del coke e la sua trasformazione in ghisa. Qui occorrerà prendere alcune misure significative: adeguare gli impianti di abbattimento nella produzione di calce, migliorare le procedure di manutenzione degli impianti di cokefazione, ridurre l'impatto emissivo delle batterie numero cinque, sei, nove, dieci e undici, rifare i refrattari dei forni coke che presentano anomalie definite tecnicamente "fessurazioni" e "criccature", attivare la videosorveglianza e realizzare un dispositivo di controllo delle emissioni collegate alle torce, cioè i fumaioli da cui escono i gas.
Nell'area a caldo si trova poi l'altoforno, in cui la ghisa diventa acciaio fuso. In questa parte (strategica) della più grande fabbrica di acciaio d'Europa, andrebbero attuate almeno due misure: ridurre le emissioni inquinanti nel caricamento dei materiali e sostituire i sistemi di abbattimento ad umido con un sistema di abbattimento con filtro a tessuto nelle attività di colaggio della ghisa. L'"agenda Todisco", che ora va letta alla luce del doppio shock di venerdi e di sabato, è dunque molto densa. A questo punto dall'altoforno l'acciaio fuso finisce nelle acciaierie, dove si solidifica diventando bramma, il nome tecnico del primo semilavorato. Nelle acciaierie dovrebbero essere utilizzati i filtri a tessuto, anziché gli elettrofiltri, per la delicata fase della depolverazione secondaria, essenziale per mondare il prodotto dalle impurità. Nell'area a caldo vanno pure adeguate le fasi di trasferimento e di trattamento della ghisa fusa. E, soprattutto, per la Todisco bisognerebbe intervenire sull'acciaieria numero uno, per regolare il soffiaggio dell'ossigeno nel convertitore e migliorare l'aspirazione dei fumi nell'acciaieria.
L'obiettivo, secondo il gip, è evitare (o almeno ridurre al minimo) lo slopping, le nuvole rosse che si vedono qualche volta nel cielo di Taranto. L'acciaio viene poi trasferito nelle fasi a freddo, dove diventa laminato o coils. Un'area della fabbrica che non è sottoposta a sequestro. Intorno a tutto lo stabilimento si dovrebbero aggiungere quattro nuovi rilevatori per il campionamento e il monitoraggio delle diossine, uno dei temi più delicati e controversi. Più la standardizzazione e la tracciabilità delle procedure di manutenzione e gli adeguamenti dei sistemi informatici, in particolare per memorizzare le ispezioni periodiche. I Riva, che dal 1995 hanno investito nell'obsoleto impianto Italsider 4,5 miliardi di euro (1,1 miliardi per l'ambiente), secondo questa impostazione hanno il ruolo di silenti "ufficiali pagatori" di una somma gigantesca che, per ora, nessuno è in grado di stimare.

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