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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2012 alle ore 06:37.

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8.00 - Sono più di 30 i minatori rimasti uccisi ieri in scontri con le forze dell'ordine nei pressi della miniera di platino di Marikana, in Sudafrica. Lo ha annunciato il ministero della Polizia. Un precedente bilancio fornito dai servizi di emergenza regionale parlava di 25 morti.

Che cos'è successo
Il D-day era atteso l'altoieri, alle miniere di platino di Marikana in Sudafrica, ed è arrivato. Dopo una settimana di scioperi, negoziati fallimentari sulle paghe e scontri che già erano costati la vita a dieci persone, tra cui due poliziotti, ieri è scaduto un ultimatum ai 3mila minatori in sciopero: tornare al lavoro al loro primo turno di venerdì o essere licenziati. «La situazione è relativamente tranquilla, ma tesa», avvertiva il sito di Lonmin, il terzo produttore mondiale di platino che controlla i giacimenti di Marikana presso Rustenburg, 100 km a nord-ovest di Johannesburg. Lonmin registrava con soddisfazione la presenza dei reparti della polizia anti-sommossa: ma quando gli agenti sono stati raggiunti da un gruppo di minatori armati di lance, mazze e machete, hanno aperto il fuoco. A terra gli inviati dell'agenzia di stampa sudafricana Sapa hanno contato 18 corpi (poi aumentati, ndr).

I dirigenti del piccolo sindacato Amcu che rappresenta una parte dei minatori in sciopero hanno accusato la polizia di massacro, mentre il confronto tra manifestanti e agenti ha rievocato gli anni dell'apartheid, prima del 1994. Ma la compagnia attribuisce le tensioni degli ultimi mesi a Marikana a rivalità tra diversi gruppi di lavoratori, in particolare alla sfida lanciata dall'Amcu all'Unione nazionale dei lavoratori delle miniere, vicina alla Confederazione sindacale Cosatu e all'African national congress. «Non ce ne andremo, siamo pronti a morire qui», aveva gridato il presidente dell'Amcu Joseph Mathunjwa prima dell'assalto della polizia.

Lonmin - quotato a Londra - dichiara sul proprio sito di aver perso in sei giorni di sciopero l'equivalente di 15mila once di platino, cosa che renderà difficile raggiungere l'obiettivo di produzione stabilito per l'anno, 750mila once. A questo si è aggiunta la notizia di una grave malattia che ha colpito il chief executive officer del gruppo, Ian Farmer. Così alla Borsa di Londra, Lonmin ieri ha perduto il 6,8%, mentre i prezzi mondiali del platino hanno guadagnato più del 2%: in un momento di ribassi per il mercato, colpito dal calo della domanda e, nel Sudafrica che conta l'87% delle riserve conosciute al mondo, di costi energetici e del lavoro in aumento.

Le richieste di aumenti salariali sono all'origine della protesta dei minatori che per la maggior parte vivono in slum nati vicino alla miniera, senza acqua corrente e con paghe di 4.000 rand al mese, 400 euro. Incoraggiati dall'Amcu, reclamano aumenti poco realistici fino a 12.500 rand, uno dei motivi di attrito tra sindacati. «Siamo sfruttati - accusa comunque Thuso Masakeng, un minatore citato dalla France Presse -. Né il Governo né i sindacati sono venuti in nostro aiuto, le compagnie minerarie guadagnano sul nostro lavoro e non ci pagano quasi niente. Viviamo come animali con questi salari di miseria».
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