Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 29 agosto 2012 alle ore 08:09.

My24

Gli spread, però, sono ancora a livelli alti, si dice più di 200 punti oltre quello che suggerirebbero i fondamentali dei Paesi. «È vero. Perché manca ancora l'attuazione di molti strumenti già decisi. Gli spread alti restano un serio problema. Non solo per gli Stati, ma anche per le imprese che si trovano a finanziarsi, in Paesi come il nostro, a un costo troppo elevato. È un fattore che altera gravemente la competizione internazionale tra le imprese. Non c'è solo il Clup (costo del lavoro per unità di prodotto) come svantaggio competitivo, ma possiamo dire che pesa anche il Ccup, il costo del capitale per unità di prodotto. In Germania è bassissimo, in Italia molto alto».

Parlerà anche di questo alla Merkel? «Non posso anticipare i temi dei colloqui. Sicuramente è giusto far notare che questo squilibrio è grave per noi, ma è un rischio anche per i Paesi che oggi sembrano beneficiarne». La Germania, appunto. «Certamente l'attuale configurazione degli spread determina in Germania un'elevata crescita dell'offerta di moneta M3, alla quale si associano tassi di interesse artificialmente bassi, prezzi crescenti delle obbligazioni e pressioni verso l'alto dei prezzi degli altri asset, inclusi quelli immobiliari. Questo determina un potenziale di inflazione in Germania, che non credo corrisponda ai desideri né della BCE né del Governo tedesco. Precludere alla BCE, come vorrebbe la Bundesbank, interventi nel mercato dei titoli di Stato volti a moderare gli squilibri, potrebbe rivelarsi, in particolare dal punto di vista tedesco, un autogoal con effetti paradossali».

Tra le questioni più spinose per l'Italia c'è la definizione dei contenuti del memorandum of understanding, il documento con gli impegni che va siglato nel caso di richiesta di attivazione dei meccanismi di stabilizzazione finanziaria. C'è chi teme condizioni aggiuntive e gravose. «Qui il lavoro è tutto da fare, il terreno è ancora vergine». La formulazione adottata dal vertice del 28-29 giugno è alquanto vaga. «Dovranno lavorarci i ministri delle finanze. Per quanto riguarda l'Italia, abbiamo dichiarato di non averne attualmente bisogno». E se la situazione dei tassi dovesse aggravarsi? «Di certo non voglio che l'Italia, dopo gli sforzi e i risultati ottenuti, sia sottoposta a una sorta di commissariamento intrusivo come avvenuto per Paesi che avevano bisogno di aiuti per chiudere i propri bilanci. Noi non siamo in quella situazione». Di certo c'è che la Bce interverrà solo dopo una richiesta di attivazione dei Fondi Ue... «Non solo è così, ma Francoforte potrà anche valutare autonomamente se intervenire o meno in caso di richiesta di aiuti. Non ci sono automatismi su questo».

Nei vertici internazionali il peso dell'Italia è certamente aumentato, resta però una diffidenza soprattutto nelle opinioni pubbliche di molti paesi europei. «Mi sembra che questa diffidenza sia venuta riducendosi. Gli altri Paesi e le istituzioni internazionali hanno costatato la serietà dell'impegno dell'Italia in questi mesi e i primi risultati raggiunti. Pur muovendo da condizioni di grande fragilità finanziaria, non abbiamo rinunciato a far valere i nostri punti di vista sulle lacune della governance dell'eurozona. Queste lacune sono state un po' per volta riconosciute e ad esse si sta ponendo rimedio». Secondo alcuni il fatto che i tassi si mantengano alti soprattutto sulle lunghe scadenze è rivelatore di una persistente sfiducia su chi potrà venire dopo. Si dice: Monti va via e torna l'irresponsabilità... «Questa diffidenza mi pare ingiustificata. Il Parlamento e i partiti hanno dato prova di responsabilità. Ma voglio anche dire che per fortuna l'Europa e i suoi trattati offrono una protezione, una sorta di guard rail, che impedisce ai governi che si susseguono nei singoli Paesi eccessi di creatività e fantasia nella gestione dei bilanci pubblici».

Intanto Monti ha davanti ancora diversi mesi di attività di governo prima della fine della legislatura. E i compiti a casa ora si chiamano soprattutto crescita. Venerdì scorso se ne è discusso otto ore in Consiglio dei ministri. Un «seminario» si è detto. Presidente, non era meglio mettere meno carne al fuoco e adottare pochi e mirati interventi? «Lo scopo di quell'iniziativa non era decidere cosa fare. Ma mobilitare tutti i ministri e i ministeri a produrre idee che poi si tradurranno in provvedimenti sulla priorità crescita. Quello dello sviluppo è un tema che in realtà portiamo avanti dall'inizio, in particolare con le iniziative del ministro Passera, con l'obiettivo di togliere i vincoli strutturali che oggi frenano la crescita. Sono azioni che non potevano produrre effetti in pochi mesi, ma certamente abbiamo percepito una sottovalutazione di questo sforzo da più parti. Abbiamo allora deciso una sorta di mobilitazione generale». Ma a pochi mesi dalla fine della legislatura è tempo di chirurgica concretezza più che di mobilitazioni. «Abbiamo raccolto idee e anche bozze di decreti e disegni di legge. Importanti le relazioni di Passera, Grilli e Moavero. Che ci hanno dato anche la percezione dei vincoli europei e finanziari. Tutti i ministri hanno fatto un grande lavoro. Capisco che la percezione può essere stata: questi con un programma così pensano di stare qui vent'anni. Ma è chiaro che ora il presidente del Consiglio tirerà le fila per calare nella realtà gli interventi più utili in tempi brevi. Ci tengo a sottolineare però che non si tratta solo di provvedimenti nuovi, c'è un altro sforzo importante da fare: quello dell'attuazione delle misure già adottate».

Shopping24

Dai nostri archivi