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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2012 alle ore 11:47.

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Chi va acquistando una certa familiarità con la Bibbia si rende presto conto dell'importanza che in essa viene attribuita alla terra. Questa parola designa, in senso generale, lo spazio creato da Dio per l'uomo, e in senso particolare la striscia di terra abitata un tempo dai Cananei, promessa poi ad Abramo al momento della sua chiamata, divenuta in seguito dopo lunghi secoli il luogo di residenza e la patria degli Ebrei, e infine l'oggetto di conquiste successive a opera di vari popoli. Questa porzione di terra, chiamata anche «Terra Santa», o «Palestina», o «Israele», è una presenza stabile lungo l'intera narrazione biblica.

Si comincia dai primi capitoli della Genesi, con la creazione e l'organizzazione della terra abitata dall'uomo. Ma è soprattutto a partire dalla vocazione di Abramo che il tema diventa di interesse preminente. Dio promette al patriarca una terra da abitare, per lui e per la sua discendenza. Ci si deve mettere pazientemente all'ascolto dei libri sacri, per tentare di percepire il filo rosso che indica il significato dello spazio in cui Dio pone l'uomo, e in particolare dello spazio in cui pone il popolo eletto. Così, per esempio, si può constatare come negli ultimi libri storici il tema terra perda la sua importanza, a vantaggio della città di Gerusalemme, che dopo l'Esilio babilonese viene proposta come centro del culto.

In effetti l'Esilio costituisce un grande periodo di prova, durante il quale si elabora una sensibilità rinnovata nei confronti del significato della terra. Questa sensibilità si esprime con originalità in un nuovo modo di concepire la vita come fedeltà alla Torah. Questa maniera di definirsi resterà viva ed efficace nella memoria e nella prassi del popolo ebraico fino al giorno d'oggi. La missione del popolo diventa così di giorno in giorno più chiaramente quella di rendere testimonianza dinanzi alle nazioni. A partire dall'Esilio, la centralità della terra, con la sua sovranità e con frontiere ben delimitate, non è più percepita allo stesso modo di prima.

Nei libri dei Maccabei compare appunto qualcosa di simile. L'accento viene messo piuttosto sulla pratica e la purezza del culto che sulla sovranità e le frontiere di Israele. Altri libri, come Ester e Tobia, descrivono un modo di vivere in terra straniera, lontano dalla patria e dal tempio, che tuttavia rimane fedele alla Torah e alle pratiche religiose ebraiche.

Marchadour e Neuhaus non passano sotto silenzio i testi problematici, che si trovano soprattutto nei libri storici, e che esprimono una violenza estrema contro i popoli conquistati. In alcuni di questi passaggi è Dio stesso che sembra richiedere questi atti violenti. Il libro sottolinea l'importanza dell'approccio storico-critico, letterario e teologico, allo scopo di disinnescare la violenza potenziale dei testi e di impedirne l'utilizzazione come giustificazione della violenza ai nostri giorni.

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