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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2012 alle ore 11:47.

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Nei libri sapienziali l'accento viene posto sull'universale piuttosto che sul particolare. A differenza dei libri storici, che trattano delle vicende contingenti di Israele, la letteratura sapienziale si interessa all'esperienza umana, valida in tutti i tempi e in tutti i Paesi. La terra è naturalmente presente in questi scritti, come spazio in cui l'uomo vive e rispetta la Legge e i precetti della ragione e del senso comune. Qui il particolare cede il posto all'universale. Il libro di Giobbe parla di un uomo che certamente non è un figlio di Israele, e lo pone in relazione diretta con Dio e di fronte al problema del male, senza nessun rapporto con la questione particolare della terra.

Nella ricca diversità dei Salmi si trova un riflesso della specificità della terra in cui sono stati composti. Ma ciò che appare ancor più importante è la dimensione globale della norma divina e, in prospettiva, la vocazione di Gerusalemme e del tempio a promuovere l'universalità della legge di Dio. Qui si manifesta inoltre una svalutazione del tema della sovranità politica, in favore della pratica del culto e della Legge, nonché della centralità di Gerusalemme e del tempio.

Anche nel messaggio dei profeti appare qualcosa di simile: in particolare gli ultimi profeti dell'elenco canonico, Aggeo, Zaccaria e Malachia, che scrivono dopo l'Esilio babilonese, concentrano le loro profezie su Gerusalemme, chiamata a diventare una città della fedeltà e un monte santo (Zc 8,3). Le promesse della restaurazione della terra prendono allora proporzioni cosmiche: non si tratta più semplicemente di uno spazio geografico da ristabilire, ma di una vera e propria nuova creazione, che rinnova la creazione primitiva. Allora, l'intera superficie della terra diviene per la persona umana uno spazio privilegiato per la relazione intima con Dio.

Il dinamismo presente nei vari libri si apre a tutta l'umanità, di cui Israele è in un certo senso il rappresentante. L'intero genere umano viene di fatto chiamato a vivere la filiazione divina, e l'intera terra diviene lo spazio concesso per vivere questo rapporto filiale. Ma rimane intatta la fedeltà divina alle promesse antiche, nelle quali si assegnava uno spazio geografico ben preciso al popolo ebraico, anche se quest'ultimo non rimane legato strettamente alle proprie frontiere.

I problemi attuali dipendono dall'interpretazione di questi antichi passaggi, alla luce degli sviluppi posteriori: si tratta solamente di un orizzonte spirituale più ampio concesso a uno spazio geografico che rimane però ben determinato? O invece questi sviluppi permettono una nuova attribuzione di significato a quello spazio geografico? Intorno a questo dilemma, molte violenze si sono scatenate, molte ingiustizie sono state commesse, molte ferite restano ancora aperte, tanto profonde da sembrare quasi inguaribili.

Non si parla qui dello Stato d'Israele, con la sua legittimità ad esistere, né del diritto del popolo palestinese a possedere la propria terra e ad avere una propria patria. Ciò che è in gioco è l'interpretazione di questi fatti, e dunque la proporzione di sacralità o di «laicità» con la quale possono essere presi in considerazione.

Nel Nuovo Testamento, assieme alla continuità con il passato, appaiono anche elementi di novità, tendenti a una maggiore spiritualizzazione della terra. È la resurrezione di Gesù che costituisce il punto decisivo della Storia. La vittoria di Gesù sulla morte conferisce un nuovo significato alla terra d'Israele. La apre a una dimensione universale, nella quale tutte le nazioni sparse sulla superficie del globo vengono chiamate a diventare a loro volta Terra Santa. Ancora meglio, per i cristiani Gesù assume nella sua persona tutta la storia sacra, e dunque anche la relazione tra terra e alleanza. La terra dell'alleanza si concretizza nel regno di Cristo, che si estende al di là di tutte le frontiere: «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Mt 5,5).

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