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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2012 alle ore 11:53.

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Considero Gerusalemme come il centro della storia umana, il centro del mondo. Non la considero città del conflitto - così la vede spesso l'opinione pubblica - ma piuttosto città della preghiera. Qui si prega molto: al venerdì pregano i musulmani, al sabato pregano molto gli ebrei e lo vivono intensamente, la domenica pregano i cristiani. E ci sono poi tutte le altre festività. È pure città del dialogo, perché vi si dialoga molto, nonostante le apparenze di conflitto; è città dell'amore, perché ci sono tanti gesti di amore e di attenzione reciproca. Quando un uomo ascolta la parola di Dio diviene soggetto libero e operante, capace di grandi progetti e di abbracciare l'universo. Qui si è avverato questo miracolo attraverso tante grandi figure, come Davide, Isaia, Geremia; in questi luoghi la Parola di Dio è risuonata e si sono svolte vicende provvidenziali, volute da Dio, per la riabilitazione e la liberazione completa dell'uomo. Naturalmente c'è anche la realtà del conflitto. (...)

Nel 1959 ho fatto il primissimo viaggio in Terra Santa, in Israele, ancora con l'occhio dell'archeologo, cioè cercando le rovine antiche. Ed ebbi in quell'occasione un'esperienza che mi rimase molto impressa.
Stavamo visitando, non lontano da Gerusalemme, i grandi pozzi di El Gib, che sembra siano stati scavati al tempo del re Salomone, pozzi profondi decine di metri. Erano stati riscavati dagli archeologi, i quali vi avevano ammassato attorno un grande cumulo di terra, ricavato appunto dal pozzo. Noi passammo lungo questo cumulo, facendo le fotografie. Ero l'ultimo e, probabilmente a causa del peso degli altri, quando arrivai la terra cominciò a franare e mi sentii rotolare dentro il pozzo. Ebbi allora un pensiero molto chiaro: come è bello morire qui in Terra Santa!
Questo pensiero mi diede una grande calma.

Senza agitarmi, misi le mani tranquillamente dentro la terra e a un certo punto rimasi fermo, al limite dal cadere nel pozzo. Potei essere salvato da alcuni arabi che erano lì vicino. Ricordo che la macchina fotografica che portavo fu sbalzata via e l'orologio andò a finire in mezzo alla strada. Uscii dal pozzo quasi incolume e con l'idea che questa è la mia terra. Ebbi un'intuizione molto forte, quella stessa espressa nel 1986: ciascuno è nato a Gerusalemme.

L'intuizione si rinnovò nei viaggi successivi a Gerusalemme e ricordo che, contemplando dal terrazzo di questa casa, alla sera, le mura della città vecchia, mi dicevo: è la mia città, e qui verrò un giorno a vivere. Perciò crebbe l'amore per questi luoghi e l'interesse anche per tutti i problemi riguardanti la gente.

Fui mandato a Roma per studiare più specificatamente e insegnare la Scrittura al Pontificio Istituto Biblico e mi innamorai di quell'aspetto particolare del testo biblico che è la storia dei manoscritti, degli antichi papiri. Ancora oggi è il mio lavoro, che ho ripreso dopo anni e anni di interruzione. Quando sono davanti a un testo greco o ebraico, rimango completamente immerso e perdo il senso del tempo. Mi pare che, più ancora che attraverso le pietre, con i documenti risaliamo indietro di 1700-2000 anni di storia e tocchiamo direttamente con mano le origini di quelle comunità, le origini della fede cristiana. Sono tanti gli eventi di quel tempo, e ne ricordo due riguardanti lo studio.

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